venerdì 31 maggio 2013

Storia, E' Successo Oggi: 1678 La Cavalcata di Lady Godiva Diventa Una Festa

di Claudia Pellegrini

STORIA, E' SUCCESSO OGGI: 1678 LA CAVALCATA DI LADY GODIVA DIVENTA UNA FESTA - Chi non conosce la celebre cavalcata di Lady Godiva in costume adamitico? Non tutti però sanno che proprio oggi, 31 maggio, si iniziò a celebrarne il ricordo a partire dal 1678. Ma andiamo per ordine e seguiamo la storia. Lady Godiva, o Godgifu (in anglosassone “dono di Dio”), secondo la storia ufficiale, era la moglie del conte Leofrico di Coventry, ed era nata nel 990, non sappiamo bene dove. È certo invece che sia lei che il marito erano dei generosi benefattori di case religiose, nel 1043 ne fondarono persino uno proprio a Coventry, e nel 1050 regalano un appezzamento di terreno al monastero di Santa Maria di Worchester. Dopo la morte di Leofrico, Lady Godiva visse nella contea fino a dopo la conquista normanna, probabilmente l’unica donna a restare un’importante proprietaria terriera in quel periodo travagliato. La maggior parte degli storici è concorde nel datare la sua morte al 10 settembre 1067. Non è chiaro neanche il luogo effettivo della sua sepoltura: alcuni credono che sia la chiesa della Benedetta Trinità a Evesham, altri che era stata tumulata vicino al marito nella chiesa principale di Coventry. Questo è ciò che ci dice la storia.
La leggenda, nonché la tradizione popolare, racconta che la donna prese le parti della popolazione di Coventry tartassata dalle tasse imposte da suo marito. Più volte chiese a Leofrico di toglierle o diminuirle, ma l’uomo le aveva sempre rifiutato questo desiderio; un giorno, ormai stanco delle continue pressioni della moglie, il conte le disse che avrebbe accolto la sua richiesta solo se avesse cavalcato nuda per le vie di Coventry. Convinto che mai la moglie avrebbe azzardato un simile gesto, rimase alquanto sbigottito quando lei, dopo aver affisso un proclama dove raccomandava alla popolazione di restare in casa e chiudere porte e finestre, si accinse a salire in groppa al suo cavallo coperta solo dai suoi lunghi capelli. La leggenda vuole che solo un sarto, tale Peeping Tom, disobbedì al proclama, facendo un foro in una persiana per godersi lo spettacolo. Peccato che al passaggio di Lady Godiva l’uomo rimase cieco! In seguito a queste vicende Leofrico si vide costretto ad abolire quelle tasse così onerose.
Esiste anche un’altra versione della vicenda, e dice che Godiva attraversò il mercato di Coventry da un’estremità all’altra accompagnata da due cavalieri. Questa seconda versione dei fatti si trova nella Flores Historiarum di Roger di Wendover, un collezionista di aneddoti del XIII secolo. Per quanto riguarda l’episodio di Peeping Tom, sappiamo che venne aggiunto alla storia solo nel XVII secolo; oltretutto, dare del Peeping Tom a qualcuno, nei paesi di lingua anglosassone, equivale ad accusarlo di essere un guardone!
Ci sono diverse teorie circa il gesto di Godiva. Una dice che, a quei tempi, i penitenti erano soliti fare delle processioni pubbliche con indosso un indumento bianco piuttosto ridotto; dunque la donna potrebbe aver attraversato davvero la città ma in veste di penitente. Un’altra teoria invece fa riferire la nudità al fatto che cavalcò per le strade senza i suoi gioielli, segno distintivo di appartenenza alla nobiltà. Resta comunque il dubbio se questa cavalcata sia avvenuta o meno.
Come già accennato, dal 31 maggio 1678, come componente della fiera, la città di Coventry organizzò una commemorazione, celebrata ogni anno fino al 1826; nonostante alcune interruzioni, la manifestazione è continuata fino al XXI secolo. Nel 1812 fu inaugurata l’effige in legno di Peeping Tom, reso come un uomo in armatura, che ancora oggi vigila sulla città.
A partire dagli anni 80 un residente ha avuto una brillante idea: utilizzare la figura di Lady Godiva per promuovere eventi ed iniziative della comunità di Coventry; a partire dal 2005, ogni settembre, in occasione del compleanno della mitica cavallerizza, si organizza una rievocazione storica per l’unità e la pace nel mondo, nota come The Godiva Sisters.
Ma la figura di questa donna è legata anche ad altro. È stata infatti immortalata nel poema di Alfred Tennyson, Godiva, dal quale, il librettista italiano Luigi Illica, nel 1911, trasse una drammatica vicenda musicata da Pietro Mascagni.
Inoltre, in molte facoltà di ingegneria, Lady Godiva è considerata una mascotte, poiché definita la Santa Patrona degli assistenti tecnici o Musa dell’ingegneria. L’origine di queste definizioni è poco chiara, anche se è certo che la tradizione sia partita dai paesi di lingua anglosassone, dove notoriamente sono nate le prime scuole di ingegneria in seguito alla prima Rivoluzione Industriale, per poi approdare in America del Nord e Canada, dove, all’Università di Toronto, è stata istituita, per il mese di gennaio, la settimana di Godiva, un’iniziativa volta a creare lo spirito scolastico. Inoltre è noto che alcune organizzazioni scolastiche erano solite organizzare annualmente una “cavalcata alla Godiva”, dove o una donna nuda o un maschio travestito montava un cavallo attraversando il campus; questa pratica si è persa con il passare degli anni.
Che sia una storia realmente accaduta o una leggenda che si è arricchita di particolari durante lo scorrere di secoli, a noi poco importa, dopotutto siamo ancora qui a parlarne.

giovedì 30 maggio 2013

Salute, dati allarmanti sui rischi connessi ad Alcol e Fumo

di Serena Sgroi


SALUTE, ALCOL E FUMO RISCHIOSI (SOPRATUTTO SE SUBLIMINALI) - Le cose migliori della vita sono immorali, illegali o fanno male alla salute". Chi di noi non ha mai sentito pronunciare almeno una volta nella vita queste parole? Benché talvolta sia difficile cogliere il vero significato di un'espressione forte come quella di questa celebre frase di Oscar Wilde, quando parliamo di vizi è quasi scontato ricorrervi. Certo la nota di accostamento di alcol e fumo a "le cose migliori della vita" forse stona un po'; del resto sono questi i due principali e più gravi "vizi" dell'uomo moderno. E forse lo erano anche oltre duecento anni fa. In questi giorni si tiene a roma il centesimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Otorino-laringologia e Chirurgia Cervico-Facciale (SIO) e i dati che ne emergono sono a dir poco allarmanti. Tavole rotonde e dibattiti rivelano cifre e dettagli circa i danni, derivanti nello specifico dall'associazione dei due malcostumi, tutt'altro che rassicuranti. Le conseguenze di alcol, fumo e della loro azione combinata (il più delle volte poco conosciute) per bocca, gola e laringe sono state discusse dagli esperti intervenuti a Roma, all'Auditorium Parco della Musica, in una articolata e lunga serie di incontri organizzati dal Comitato Scientifico della Sio. Dall'inquadramento diagnostico alle opzioni terapeutiche, dalle possibili complicanze ai limiti della chirurgia: dalle parole dei comizianti è emerso che la maggior parte delle neoplasie di bocca, gola e laringe (con percentuali intorno all'80% per tutti e tre i distinti organi) è causata proprio dal concertato di fumo (che sia di sigaretta, sigaro o pipa) e alcol. Mentre l'alcol mette sotto sforzo il fegato (inibendo il suo ruolo di depuratore del sangue), le sostanze rilasciate dal fumo si depositano sulle pareti della bocca e della gola, modificando il metabolismo delle cellule parietali (perchè ne alterano il dna). E se il mondo medico e scientifico si interroga sulle modalità di contenimento di questa dilagante e dannosa consuetudine, oltre-oceano i "conti" dei ricercatori della Geisel School of Medicine alla Dartmouth University (New Hampshire) non promettono nulla di buono per i più giovani. Le loro ricerche infatti, attestano un incremento degli spot pubblicitari di alcolici, mentre (particolare accattivante) diminuiscono le sigarette fumate nei film. Spot e film (quelli analizzati dagli americani) con un target giovane, rivolti prevalentemente ai teenager.

Cinema, Operazione Paura 2 a Forte dei Marmi

di Claudia Pellegrini

CINEMA, OPERAZIONE PAURA 2 A FORTE DEI MARMI - Oggi, giovedì 30 maggio, verrà inaugurata a Villa Bertelli di Forte dei Marmi la seconda edizione di Operazione Paura, il festival del cinema horror che durerà fino al 2 giugno. Il festival parte con una mostra, Orrore sulla carta, la prima in territorio italiano, dedicata alle locandine originali di film horror rigorosamente made in Italy dagli anni 60 ad oggi, tutte provenienti da collezionisti privati. Sarà possibile vedere ben 80 manifesti originali che ripercorrono la storia del cinema di genere, a partire da I Vampiri di Riccardo Freda del 1957, il primo horror italiano riconosciuto come tale, completato da Mario Bava, fino ad arrivare a Wrath of the Crows di Ivan Zuccon, l’ultimo film horror italiano in ordine cronologico. Sarà possibile inoltre ammirare le prime stampe dei manifesti originali di molti film cult di Dario Argento. All’interno del Giardino d’Inverno sarà possibile incontrare ospiti illustri quali il regista Umberto Lenzi, la scrittrice Cristiana Astori e Giancarlo Marzano, lo sceneggiatore di Dylan Dog.
Alle ore 21 il festival prevede uno spostamento al Cinema Comunale di Pietrasanta, dove saranno proiettati 15 minuti del nuovo film di Federico Zampaglione, l’attesissimo Tulpa. Il regista sarà inoltre presente per illustrare al pubblico questo suo terzo lavoro che apparirà sul grande schermo il 20 giugno. Interpretato dall’attrice Claudia Gerini, il film racconta le vicende di una donna ricca e sola che inizia a frequentare un esclusivo club, il Tulpa, gestito da un misterioso guru tibetano dove i soci possono incontrarsi e dare sfogo liberamente alle proprie fantasie erotiche; in questo luogo la protagonista avrà degli incontri con diversi partner che verranno trovati tutti assassinati brutalmente.
Per le ore 22 è prevista la proiezione di Cose Cattive, film di Simone Gandolfo, la storia di quattro ragazzi che entrano a far parte di un gioco perverso a causa di un messaggio ricevuto da un misterioso personaggio. Anche in questo caso il regista sarà presente.
Inoltre due prime visioni da non perdere: il già citato Wrath of the Crows, che chiuderà la seconda edizione di questa manifestazione il 2 giugno, e l’horror internazionale di Jonathan Zarantonello, The Butterfly Room, attesissimo poiché segna il ritorno sul grande schermo della Regina delle Scream Queens, Barbara Steele, presentato venerdì 31 maggio alle ore 22:15.
Tra i maestri dell’horror classico sarà celebrato in questa sede Antonio Margheriti, con il documentario The Outsider, realizzato dal figlio Edoardo, ospite del festival sabato 1 giugno.
Inoltre, il 31 maggio alle ore 18, il regista Umberto Lenzi presenterà il suo ultimo romanzo Spiaggia a Mano Armata; domenica 2 giugno per le ore 16:30 verrà presentata l’antologia Sinistre Presenze dagli stessi autori.
Non dimentichiamo che in tutte e quattro le giornate sarà possibile assistere alla proiezione di cortometraggi a tema.
La realizzazione dell’evento è da attribuirsi all’impegno ed alla passione dell’associazione B-Side, un gruppo di under 30 il cui intento è quello di rivalutare agli occhi del pubblico un genere purtroppo spesso sottovalutato.
I fan dell’horror ringraziano sentitamente.

mercoledì 29 maggio 2013

Storia, E' Successo Oggi: 29 Maggio 1886 Prima Pubblicità Coca-Cola

di Claudia Pellegrini

STORIA, E' SUCCESSO OGGI: 29 MAGGIO 1886 PRIMA PUBBLICITA' COCA-COLA - È bevanda più celebre al mondo, scura, dalla formula segretissima, con tante bollicine e ricca di zucchero, in lattina o in bottiglia, è la Coca-Cola, l’unico prodotto al mondo che non conosce crisi o limiti di confine. Non tutti sanno che la sua storia inizia l’8 maggio 1886, nel giardino sul retro al civico 107 di Marietta Street, una centrale strada di Atlanta, dove il “dottor” Pemberton, in realtà farmacista, preparò lo sciroppo in una caldaia di ottone per un nuovo tonico rinvigorente, che chiamò French Wine Cola. La sua intenzione era quella di commercializzare questa sua invenzione come medicinale, in particolare come rimedio immediato per il mal di testa e come bevanda rinvigorente. Ne portò anche un campione alla farmacia Jacob, uno dei drugstore più grandi di Atlanta, così come era solito fare con tutti i composti di sua invenzione.
Ma le cose cambiarono quando, allungato per errore con acqua gassata, lo sciroppo si trasformò in una gradevole bevanda rinfrescante, molto apprezzata dagli avventori del drugstore. Fu così che al prezzo di 5 centesimi fu messa in vendita la prima Coca-Cola (il nome fu scelto in base a due dei suoi ingredienti principali: foglie di coca peruviana ed estratto di noci di cola). Il 29 maggio 1886 il quotidiano Atlanta Daily Journal pubblicò la prima inserzione pubblicitaria per la Coca-Cola.
Il marchio nacque il 16 giugno dell’anno successivo, ma fu registrato solo nel 1893, dopo la fondazione della Coca-Cola Company. Fino al 1888 la bevanda veniva venduta solo alla spina e nonostante gli sforzi pubblicitari più che ingenti, i ricavi erano inferiori ai costi sostenuti, tanto che Pemberton si trovò costretto a dover cercare il sostegno di uno dei suoi soci dotato di liquidità, fino a dovergli vendere la formula ed il diritto esclusivo. Questo socio era Asa Candler che nel 1892 fondò la Coca-Cola Company, dimostrando di avere idee chiare e grande abilità commerciali; favorì la diffusione della bibita anche negli stati confinanti, impostando la pubblicità in modo più aggressivo con l’ausilio di cartelloni pubblicitari, e comprendendo l’importanza di registrarne il marchio.
Nel 1899 cominciò ad essere imbottigliata, fino ad arrivare, negli anni 10, ad una vera e propria gara tra produttori di contenitori in vetro. Nel 1915 vinse l’appalto la Root Glass Company con la mitica bottiglia Contour Bottle a immagine di un seme di cacao. Quella che secondo molti è la più famosa bottiglia mai apparsa sulla terra, ha subito dalla sua creazione rarissimi mutamenti; e grazie proprio alla sua unicità non ha avuto bisogno di adeguarsi al tempo come molti dei prodotti di largo consumo, ed ha sempre contribuito a caratterizzare la bibita per cui è stata pensata, formando, grazie anche a campagne pubblicitarie che hanno posto la bottiglia di vetro al centro dell’attenzione, un binomio indissolubile venuto meno solo con l’avvento delle lattine negli anni 60.
Nel 1930 apre i suoi uffici a Genova la Società Anonima Coca-Cola, con funzione di promozione e coordinamento delle attività del gruppo. Negli anni seguenti sorgono gli stabilimenti di Roma, Milano e Livorno, e compaiono per la prima volta i grandi frigoriferi rossi che consentono ai consumatori di bere la bibita fresca, nonché i grandi manifesti pubblicitari.
Da medicinale a bevanda più conosciuta al mondo: chissà se l’Atlanta Daily Journal se l’aspettava quando fece comparire sulle sue pagine la prima pubblicità di quella strana bevanda con le bollicine del dottor Pemberton, una pubblicità che continua dopo 126 anni.

martedì 28 maggio 2013

Cultura, Percorso Dantesco a Firenze Ispirato da "Inferno" di Dan Brown

di Claudia Pellegrini

CULTURA, PERCORSO DANTESCO A FIRENZE ISPIRATO DA INFERNO DI DAN BROWN - È ormai da qualche giorno che la città di Firenze propone ai turisti un insolito percorso per le vie più segrete e misteriose della città, all’inseguimento di Robert Langdom, il protagonista del thriller più letto del momento: Inferno di Dan Brown. Ebbene si, è tornato l’autore più letto e discusso di questi ultimi anni, colui che ha sfidato “l’ira funesta” della Chiesa con Il Codice da Vinci ma anche con Angeli e Demoni, lo stesso che sembrava aver perso verve all’indomani della pubblicazione di La Verità del Ghiaccio e di Crypto, ma aveva fortunatamente ripreso quota con Il Simbolo Perduto; da un paio di settimane è tornato trionfante negli scaffali delle biblioteche con l’ultima fatica che a tutt’oggi è in cima alle liste dei più venduti: Inferno.
Si è potuto constatare che Dan Brown è un toccasana per il turismo: a Parigi ancora oggi si organizzano tour basati sulle trame del Codice da Vinci, ed a Roma accade lo stesso con un percorso che segue passo passo gli spostamenti del protagonista di Angeli e Demoni. Lo stesso accade a Firenze, ed a quanto pare sembra che i turisti gradiscano molto. Il tour è cominciato sabato scorso, si propone di percorrere alcune tappe del libro, le più significative, seguendo gli spostamenti di una misteriosa “ombra” che compare proprio tra le prime righe della storia.
Il primo stop è a Via dei Castellani, passando prima per piazza dei Giudici, dove si trova appunto Palazzo Castellani, che ai tempi di Dante si chiamava Castello d’Altafronte, e che oggi è sede del Museo dedicato a Galileo. La seconda tappa la si raggiunge passando per piazza San Firenze, dove sorgono Palazzo Gondi ed il complesso barocco che ospita il Tribunale e la Chiesa di San Filippo Neri: si tratta di via del Proconsolo, nella quale sorge il palazzo del museo del Bargello, e la splendida Badia Fiorentina, l’abbazia con il campanile risalente al 1310 che si alza per ben settanta metri. La terza tappa è il Nuovo Ospedale di San Giovanni di Dio, il luogo dove viene ricoverato il protagonista. Il quarto luogo è La Fontana della Forchetta, una scultura in bronzo del 1571 che raffigura Nettuno nell’atto di infilzare con il tridente (forchetta secondo i fiorentini ma anche secondo Dan Brown); la suddetta scultura si trova nel Giardino di Boboli, una delle tante meraviglie di Firenze, situato alle spalle di Palazzo Pitti. Poi abbiamo il percorso che da Viale Machiavelli conduce alla trecentesca Porta Romana, l’ingresso principale della città nell’ultima cerchia delle mura medioevali.
E non solo, i turisti potranno visitare anche i tipici luoghi danteschi (ricordiamoci che il libro è ispirato all’Inferno dantesco) come Palazzo Portinari, in cui abitò il padre di Beatrice, oppure la lapide dantesca che riporta i versi del XVI canto del Paradiso in via dei Cerchi, e molto altro ancora.
Quindi, libro alla mano, prepariamoci ad un tour di Firenze insolito, magari organizziamolo per il 6 giugno, giorno in cui lo scrittore, Dan Brown, sarà alla Repubblica delle Idee (l’interessante iniziativa, giunta alla seconda edizione che raduna le firme del giornalismo ma anche tutto il mondo che ruota intorno al giornale, i lettori e diversi scrittori, come Eco, Baricco e Saviano), quest’anno proprio a Firenze, per parlare del “nostro bisogno di mistero”.
Buon Inferno tour a tutti.

lunedì 27 maggio 2013

Arte, La Decorazione della Cappella Sistina

di Claudia Pellegrini

ARTE, LA DECORAZIONE DELLA CAPPELLA SISTINA - La Cappella Sistina fu eretta da papa Sisto IV all’interno del più antico nucleo dei palazzi apostolici. È un’aula rettangolare, lunga circa 41 metri e larga 13 (le dimensioni attribuite dalla Bibbia al tempio di Salomone) coperta da una volta a botte. Tre marcapiani dividono in quattro livelli le pareti lisce, in modo da poter accogliere le decorazioni pittoriche. Una transenna divide l’aula in due zone destinate rispettivamente al clero officiante ed ai fedeli.
Costruita dal fiorentino Baccio Pontelli, la cappella era già terminata nel 1480, l’anno successivo, infatti, Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Cosimo Rosselli, firmarono un contratto con il quale si impegnavano ad affrescare le storie delle pareti. I lavori di decorazione dovevano essere già iniziati; terminarono dopo la sostituzione dei pittori già citati con Luca Signorelli nel 1482, quando l’aula fu solennemente consacrata da Sisto IV e dedicata alla Vergine Assunta.
Nel 1483 la cappella Sistina era decorata in questo modo: sulle pareti, al livello più basso, erano dipinte delle finte cortine di stoffa; più sopra c’erano due grandi serie di affreschi con Storie di Mosè e Storie di Cristo che partivano dalla parete dietro l’altare fino ad arrivare all’ingresso. Oggi sopravvivono solamente i riquadri delle pareti laterali. Più in alto era stata affrescata la lunga galleria con i ritratti dei primi trenta pontefici tutt’intorno alla cappella, tra le finestre. Il soffitto era ornato con semplicità da un cielo stellato. La parete dietro l’altare, la più importante, aveva al centro una grande pala ad affresco con l’Assunzione della Vergine di Perugino, oggi non più visibile.
Il programma decorativo del 1480-83 celebrava il ruolo storico, politico e giuridico della Chiesa romana. Mosè, condottiero e legislatore, protagonista di molti affreschi, è una prefigurazione di Cristo; e Cristo ha affidato a San Pietro (Perugino, Consegna delle Chiavi), il primo papa, la responsabilità della Chiesa, poi trasmessa ai successori di Pietro, anche loro ritratti sulle pareti della Sistina. Gli affreschi simboleggiavano l’autorità papale sugli antagonisti interni alla chiesa (Botticelli, La punizione dei Ribelli) e la sua superiorità sul potere laico, ma indicavano anche che l’autorità papale si fonda sul potere temporale.
La decorazione cinquecentesca non modificò il messaggio coniato da Sisto IV, semmai lo riprese in termini figurativi più ricchi e complessi, completando l’insieme. Su incarico di Giulio II Michelangelo affrescò nel 1508-1512 la volta, con gli episodi della Genesi, le Sibille e i Profeti, numerose altre figure ed episodi biblici nelle quattro vele angolari, scendendo lungo le pareti fino ad arrivare con gli Antenati di Cristo delle lunette ai ritratti papali. Da un punto di vista tematico gli affreschi michelangioleschi si incastravano alla perfezione con quelli quattrocenteschi, poiché raffigurano le vicende bibliche anteriori a quelle di Mosè e gli antecedenti della venuta di Cristo.
Tra il 1515 e il 1516 papa Leone X fece eseguire da Raffaello i cartoni per dieci grandi arazzi detti impropriamente gli Atti degli Apostoli, raffiguranti episodi significativi della vita del papa, da appendere sui muri della cappella nella zona inferiore, coprendo parzialmente le finte cortine. Gli arazzi furono tessuti con grande dispiego di filati d’oro e d’argento e con estrema perizia tecnica dall’arazziere di Bruxelles Pieter Van Aelst entro il 1519. Anche queste immagini si incastravano nematicamente con la preesistente decorazione per celebrare il potere spirituale e temporale della Chiesa e di Leone X.
Infine, tra il 1536 ed il 1541, Michelangelo dipinse su incarico di papa Paolo III l’enorme Giudizio Universale sulla parete dietro l’altare: un terribile specchio della situazione in cui versava la Chiesa, spaccata tra le istanze di riforma ed i propositi di rivincita controriformistica. Indubbiamente questo affresco si conciliava a fatica con il precedente programma teologico e politico e, in genere, con il tono narrativo prevalente nella decorazione della Sistina. Alle scene storiche e celebrative si sostituiva ora, nella parete più in vista della cappella, la visione apocalittica del drammatico scontro tra il bene e il male. Le vicende di quegli anni imponevano questa inserzione, anche a costo di distruggere, per farle posto, l’Assunzione della Vergine del Perugino ed il primo episodio, rispettivamente, delle Storie di Mosè e delle Storie di Cristo. Sulla parete d’ingresso Michelangelo avrebbe dovuto affrescare una Resurrezione ma, assorbito da altri impegni, non diede mai inizio a quest’ultima fatica, con cui avrebbe dovuto concludersi la decorazione della Sistina.
Dopo il 1541 non vi furono altri interventi, se si eccettuano gli sporadici rifacimenti di porzioni rovinate di affreschi e la grottesca vestizione dei nudi michelangioleschi del Giudizio Universale tramite braghe e mutandoni dipinti da Daniele da Volterra dopo la morte di Michelangelo. I dettami del Concilio di Trento non permettevano che simili oscenità avessero posto nella più importante cappella della cristianità.

domenica 26 maggio 2013

Spazio, Una nebulosa spettacolare e quindici candeline per il Very Large Telescope

di Serena Sgroi

SPAZIO, NEBULOSA SPETTACOLARE E QUINDICI CANDELINE PER VLT - Una ventina di stelle molto massicce, giganti e supergiganti, non lontano da qualche piccolo ammasso aperto e una grande nube molecolare: è una regione galattica alquanto complessa, quella in cui giace IC 2944 (meglio nota come Nebulosa Lambda Centauri). Si tratta di un oggetto astronomico dall'aspetto nebuloso (per l'appunto) e composto principalmente da idrogeno ionizzato. La nube, fotografata in questa suggestiva immagine dal Very Large Telescope, "brilla" di luce di emissione: il gas di cui è composta, ionizzato dalla radiazione ultravioletta di giovani stelle dà vita a un angolo di spazio tra i più brillanti del cielo. IC 2944 (questo l'appellativo con il quale gli esperti identificano la nebulosa Lambda Centauri, derivante dalla sua classificazione) si trova in uno dei bracci della nostra galassia, la Via Lattea. Nello specifico, si trova nel braccio galattico a noi più vicino rispetto agli altri. Oltre a essere già da tempo considerata come uno dei più importanti luoghi di nascita delle stelle, rivela oggi ai nostri occhi anche alcuni dettagli circa i globuli presenti al suo interno. I bozzoli in foto, il cui aspetto scuro ben contrasta il chiarore diffuso circostante, sono i cosidetti Globuli di Bok, agglomerati di gas e polveri poco dense dove avviene il processo di formazione stellare. Il più grande telescopio al mondo, il Very Large Telescope (Vlt) dell' European Southern Observatory (Eso) ha ripreso la nube a circa 6500 anni luce di distanza da noi, in occasione del suo quindicesimo compleanno. Per festeggiare i suoi quindici anni di osservazioni, il Vlt ha pubblicato la spettacolare immagine di IC2944, nella quale appaiono ben evidenti i coaguli di polveri sullo sfondo rossastro di gas incandescente per via delle neonate stelle al suo intorno. Inaugurato nel lontano 1998 sulle Ande cilene, il Vlt è costituito da una serie di otto strumenti osservativi: quattro grandi telescopi il cui specchio principale ha un diametro di oltre otto metri e quattro più piccoli e ausiliari con uno specchio di circa due metri di diametro. Guardare attraverso l'ingegnoso "occhio" del Vlt è come guardare gli oggetti lontani ingranditi circa quattro miliardi di volte rispetto a quanto saremo in grado di osservarli alzando semplicemente la testa al cielo.

Storia, E' successo oggi: 26 Maggio 1647 Esecuzione di Alse Young

di Claudia Pellegrini

STORIA, E' SUCCESSO OGGI: 26 MAGGIO 1647 ESECUZIONE DI ALSE YOUNG - In un giorno di fine primavera, proprio oggi, ma nel 1647, una donna di nome Alse Young fu condannata a morte con l’accusa di stregoneria. Era il primo processo di cui abbiamo traccia ad interessare le ex colonie britanniche, il primo di una lunga serie che sfocerà nell’isteria contro le streghe o presunte tali, che avrà il culmine a Salem nel 1692.
Ma chi era in realtà Alse? Di lei si sa pochissimo; era residente a Windsor, Connecticut, probabilmente con il marito, un certo John Young, il quale aveva acquistato qualche anno prima del processo un piccolo appezzamento di terreno, terreno che scompare, come pure lui stesso, dai registri della parrocchia nel 1649. Il perché questo presunto marito lasci la città è piuttosto ovvio, e a quanto pare era accompagnato da una figlia, Alice, la quale, ironia della sorte, sarà accusata di stregoneria trent’anni dopo nella vicina Springfield, Massachusetts. Ma questa è un’altra storia.
La natura delle accuse mosse ad Alse è sconosciuta. L’unica cosa di cui siamo a conoscenza è una certa epidemia nella città di Windsor nei primi mesi del 1647, e non era raro che le streghe fossero accusate di causare malattie, pestilenze e quant’altro, non dimentichiamo che ogni epidemia scoppiata in Europa è sempre stata attribuita all’opera del maligno, e chi meglio di una strega poteva appestare la comunità obbedendo agli ordini del suo padrone? Ovviamente c’erano anche altri fattori che portavano le donne ad essere accusate di stregoneria, come ad esempio la capacità di poter guarire le persone con l’uso di rimedi a base di erbe, molto più efficaci degli strani intrugli propinati da quei barbieri-cerusici che erano i medici dell’epoca; molto sospetti erano inoltre i cosiddetti “marchi del diavolo”, che altro non erano che nei particolarmente grandi o dalle forme strane o semplici voglie; inoltre la strega, per essere tale, doveva anche avere il cosiddetto terzo capezzolo, quello che secondo la tradizione allattava i famigli (gli animali domestici di cui si circondava una strega). Inoltre è purtroppo noto che bastava semplicemente l’invidia o la cattiveria di un vicino per finire sulla forca.
Cotton Mather (1663-1728), sacerdote, politicante ed esperto sui processi alle streghe, nel suo volume Meraviglie del mondo invisibile, scriverà, in riferimento a Salem ed alla stregoneria, quanto fosse urgente la lotta contro questi mali: egli dice che i coloni, gente di dio, si sono stabiliti in un territorio che prima apparteneva al diavolo, di conseguenza tramite la piaga della stregoneria quest’ultimo tenterebbe di vendicarsi; addirittura cita il caso di Alse, avvenuto quarant’anni prima. Secondo molti Mather fu uno degli istigatori del processo di Salem, ed a processo iniziato ne influenzò negativamente la corte.
La povera Alse venne impiccata sulla Meeting House Square a Hartford, quella che oggi è il sito della Old State House. Ovviamente la tortura era il metodo più efficace per estrarre delle confessioni, non certo per trovare la verità in un’accusa così ridicola, è ovvio che il dolore portava a confessare qualsiasi crimine. L’esecuzione è testimoniata anche da un giornale locale, il Massachusetts Bay Colony. Nella colonia del Connecticut il reato di stregoneria divenne tale a partire dal 1642, sostenuto dalle stesse parole della Bibbia che recitavano: Tu non permetterai che una strega viva. Alse non fu certo l’unica donna a morire con quest’infamia, di alcune conosciamo i nomi: Mary Johnson nel 1648, Rebecca Greensmith e Mary Barnes nel 1663 in seguito al diffondersi di una strana epidemia.
Il reato di stregoneria è scomparso dalla lista dei capitali nel Connecticut a partire dal 1715.

sabato 25 maggio 2013

Scienza, Quella molecola dal prurito inarrestabile

di Serena Sgroi

SCIENZA, MOLECOLA PRURITO INARRESTABILE - Avete mai visto un topo grattarsi? Santosh Mishra e Mark Honn ne hanno visti parecchi. I due ricercatori del National Institute of Health (NIH) hanno osservato il meccanismo che scatena nei roditori la necessità di grattarsi. Apparentemente il sistema nervoso degli animali oggetto della ricerca è molto simile al nostro, di conseguenza sono innumerevoli le eventuali applicazioni per noi essere umani. I due scienziati americani potrebbero aver compiuto il primo passo verso una scoperta davvero rivoluzionante. E noi un domani potremmo dire addio alLa fastidiosa sensazione del prurito. Nello studio pubblicato sulla rivista Science i due autori spiegano come sia stato possibile per loro individuare la molecola che innesca il processo interpretato dal cervello come sensazione di prurito. I neurotrasmettitori sono, per definizione, i portatori di informazioni sensoriali dalle varie parti del corpo al cervello: inserendosi in specifiche cellule nervose distribuite nel midollo spinale, le molecole addette alla comunicazione col cervello inviano impulsi sensoriali alla nostra testa che elabora poi i segnali ricevuti. La neo scoperta "molecola del prurito" sembra legarsi a dei recettori presenti nel midollo della colonna vertebrale; il segnale da essi trasportato al cervello viene poi da questo elaborato come sensazione di prurito. La molecola in questione, la Nppb, sembra essere non essere presente in tutti i topi in uguale quantità: nello specifico delle analisi e dei test compiti da Mishra e Honn, i topi con carenza di Nppb hanno reagito poco o nulla agli stimoli di prurito indotti, a differenza dei loro simili dove la molecola era presente in quantità maggiore. per questi ultimi l'istinto di grattarsi é stato incontrollabile. Chissà, magari anche noi esseri umani non abbiamo uguali reazioni a uguali stimoli, se indotti a grattarci. Senz'altro ulteriori ricerche, qualora confermassero le modalità studiate nei topi, potrebbero portare in un prossimo futuro alla realizzazione di farmaci anti-prurito e farci dimenticare così cosa significa quell'irrefrenabile bisogno di grattarsi.

venerdì 24 maggio 2013

Arte, Breve Storia dell'Incisione

di Claudia Pellegrini

ARTE, BREVE STORIA DELL'INCISIONE - L’incisione, l’arte di disegnare su una superficie dura, avrebbe origini antichissime. Sembra infatti che già nell’età neolitica l’uomo usasse imprimersi sulla pelle disegni geometrici mediante stampi di legno o terracotta simili a quelli ancora oggi utilizzati dagli indios di alcune tribù dell’Amazzonia. Gli egizi, con la stessa tecnica decoravano i loro sarcofagi, mentre matrici lignee furono impiegate anche per la decorazione di stoffe a stampa prima in Oriente e poi in Occidente per tutto il Medioevo.
Il legno usato per questo procedimento si chiama xilografia, e proviene generalmente da alberi da fruttiferi, può essere intagliato parallelamente alle sue fibre o trasversalmente. Dopo l’incisione la matrice viene inchiostrata con un rullo ed un tampone e si procede quindi alla stampa. Le xilografie possono essere anche colorate dopo la stampa, o stampate a colori mediante l’uso di impressioni. Agli inizi del Quattrocento la tecnica xilografica viene impiegata anche per stampare su stoffa. Alla fine del XIV secolo viene impiegato un nuovo tipo di supporto, la carta, prodotta in Cina nel II secolo, passata per la Persia nel VI, ed infine giunta in Europa grazie agli Arabi attraverso la Spagna e l’Italia tra il XIV ed il XV secolo. Determinante per la diffusione della xilografia, dovette essere, agli inizi del Quattrocento, la richiesta crescente di immagini sacre, e quella delle carte da gioco, inoltre, era utilizzata anche per le illustrazioni dei libri in sostituzione delle costosissime miniature.
Nel corso del Cinquecento si andò sostituendo all’incisione su legno quella su metallo, la calcografia, la quale presentava nuove possibilità espressive. Infatti, la calcografia è una tecnica di incisione ad incavo, praticata su supporti metallici, che scava il segno in modo che possa ricevere l’inchiostro; questo consente di riprodurre segni molto sottili e vicini tra loro, ma anche incrociati, con la possibilità di rendere i grigi e quindi anche delle variazioni chiaroscurali. Questa tecnica si diffuse in Germania ed in Italia, e fu la forma più importante di stampa fino al secondo decennio dell’Ottocento, e cioè fino alla diffusione del procedimento litografico. Il Vasari ne attribuisce l’invenzione ad un orefice, tale Maso Finiguerra, ma allo stato attuale delle conoscenze in materia l’opinione del Vasari appare fantasiosa, infatti è molto più veritiero pensare che furono gli artisti nordici ad applicare per primi questo nuovo procedimento.
All’inizio del Cinquecento venne sperimentata l’acquaforte, cioè il procedimento di incisione indiretta mediante sostanze acide che intaccano il metallo per reazione chimica. L’acquaforte presentava straordinarie qualità formali dovute alle caratteristiche tecniche del procedimento. La qualità del segno inciso era differente dagli altri procedimenti, era possibile tracciare segni di ogni tipo, segni che risultavano pittorici, morbidi. Questo procedimento era già conosciuto da Leonardo nel 1504 e da Dürer; fu il Parmigianino però a dedicarsi a questa tecnica come un vero e proprio alchimista, perfezionandola sempre di più. Le sue migliori acqueforti sono La Deposizione di Cristo e la Resurrezione.
Successivamente la tecnica incisoria trova in Giovanni Battista Piranesi uno dei suoi massimi esperti. Di lui abbiamo splendide vedute, soprattutto della città di Roma, e delle rovine, raccolte in un volume, Vedute di Roma, che diede alle stampe nel 1748. Non dimentichiamo però anche Goya e le sue acqueforti, famosissime nel mondo artistico dell’epoca ( il procedimento della realizzazione dell’acquaforte, per quanto riguarda Goya, è mostrato passo per passo, e con dovizia di particolari visivi, nell’intro del film L’ultimo Inquisitore, di Milos Forman; peraltro Goya era stato perseguito dall’Inquisizione spagnola proprio per la natura delle sue incisioni ritenute opere dalla dubbia reputazione).
Buona parte dei grandi artisti moderni sperimentarono le varie tecniche di incisione, da Chagal a Picasso, da Mirò a Dalì. Fin dalla fine della seconda guerra mondiale l’incisione divenne materia accademica, ed i maestri di fama internazionale ancora oggi danno prestigio agli atenei in cui insegnano.

giovedì 23 maggio 2013

Arte, Enea, Anchise e Ascanio: Bernini rivisita Virgilio per Scipione Borghese

di Claudia Pellegrini

ARTE, ENEA ANCHISE E ASCANIO: BERNINI RIVISITA VIRGILIO PER SCIPIONE BORGHESE - Il gruppo Enea, Anchise e Ascanio è la prima delle quattro spettacolari, ed innovative sculture in marmo di Bernini riunite fin da principio nella villa fuori Porta Pinciana appartenente a Scipione Caffarelli Borghese. Costui, grazie alle influenze politiche del tempo, al suo essere cardinal nepote, ed alle immense ricchezze di cui disponeva, aveva assunto lo stile di vita di un piccolo monarca. Da una parte si può affermare che all’epoca Bernini fosse un semplice prodotto del nepotismo papale, ma dall’altra è evidente che questo fenomeno non abbia intaccato la qualità della sua arte. Del gruppo marmoreo in questione sappiamo la data di realizzazione, il 1619; per quanto riguarda l’attribuzione è stata avanzata, per molto tempo, l’ipotesi che Gian Lorenzo avesse lavorato in collaborazione con suo padre, il quale sappiamo che era anch’esso un’artista molto apprezzato, ma grazie alla scoperta di alcuni documenti d’archivio, il gruppo ora è attribuito esclusivamente all’allora ventunenne Gian Lorenzo.
La scelta di un tema tratto da Virgilio, il più grande poeta dell’antichità classica, la cui poesia era stata paragonata alla pittura, la particolare difficoltà di riuscire a rendere nel medium di un blocco di marmo, adatto alla rappresentazione della simultaneità, la descrizione poetica della fuga da Troia che in realtà è articolata in diversi episodi, indica che il committente aveva in mente un paragone tra la scultura moderna e la poesia antica, un “ut poesis sculptura”.
Il compito di rappresentare tre figure maschili di età diversa, in fuga, e una delle quali, oltretutto, è portata da un’altra, toccava un’intera serie di problemi nella prassi scultorea. Virgilio non si era espresso inequivocabilmente su come Enea avesse portato Anchise sulle spalle; su questo infatti si fonda la molteplicità delle tradizioni rappresentative. L’Enea di Bernini, con il busto piegato sotto il peso di Anchise e che nell’incedere trasferisce il peso dalla gamba destra alla sinistra, è il paradigma tridimensionale e reale di una simile figura, e per questo un pezzo di bravura di elevatissima difficoltà statica e tecnica.
Un altro problema era costituito dalla rappresentazione adeguata delle tre età dell’uomo nell’aspetto fisico, nella posizione del corpo, nell’ethos e nella mimica di ciascuna figura. La difficoltà della già problematica rappresentazione viene aumentata dal fatto che le figure sono nude, il che è giustificato solo in parte dalla probabilità storica delle circostanze della fuga; ma del resto è proprio la licenza di fingere concessa all’arte che costituisce una notevole corrispondenza con Virgilio, il quale aveva mescolato verità storiche ed invenzioni poetiche. Il modo in cui Bernini ha reso le tre età dell’uomo rimanda ad un celebre passo del Trattato di Leonardo, nel quale la varietà viene esemplificata attraverso le differenti epidermidi caratteristiche delle tre età dell’uomo: la pelle morbida e rosata del bambino, quella tesa a rivestire i muscoli dell’uomo adulto e, quella avvizzita e rugosa del vegliardo.
Fin dal principio, alla scultura è collegato il momento rappresentativo del cardinal nepote, che la collocò in un luogo praticamente pubblico, nella parte aperta ai visitatori del Casino della sua villa suburbana. Infatti, la scultura, al di là delle tre figure, rappresenta l’origine dell’impero universale romano, il trasferimento dell’imperium da Troia a Roma. Uno dei primi significati da attribuire alla scultura è sicuramente quello teologico-storico, nel senso dell’ideologia della Roma papale e della funzione di Roma all’interno del pensiero cristiano. La partenza di Enea che fugge da Troia approda nel Lazio, qui egli darà origine al popolo romano, qui partirà l’imperium sine fine della chiesa, che succederà all’impero romano andando a estendersi su tutta la terra. Dunque Enea sarebbe l’antenato della Chiesa e del Papato.
Che il gruppo di Bernini, nelle intenzioni del committente dovesse personificare il luogo comune dell’idea cristiana e papale di Roma è mostrato dalla marcata sottolineatura dei “pignora imperii” tenuti in mano dai protagonisti. Essi derivano in parte dal testo dell’Eneide, in parte sono il risultato di combinazioni da antiquario erudito. Al piccolo Julo Ascanio, chiamato a fondare la gens julia ed a regnare nel Lazio, è posto in mano il più importante “pignus imperii”, il fuoco eterno di Vesta. Il vecchio Anchise invece porta il cosiddetto “keramos troikos” con le ossa degli avi, e con sopra le statuette dei Penati troiani.
Il senso morale della rappresentazione antitetica tra padre e figlio, giovinezza e vecchiaia, poteva essere considerato non solo da un punto di vista interno alla famiglia, ma anche dal punto di vista politico: come simbolo dell’unione tra il vigore della giovinezza e la saggezza della vecchiaia, fra le parole ed i fatti, in breve come un simbolo del buon governo. L’immagine, in questo caso riferita al papa ed al suo nipote, può quindi diventare un simbolo del ruolo del cardinal nepote. Inoltre, il gruppo di Bernini allude anche al nome proprio di Scipione Borghese: infatti in latino scipio significa “il bastone al quale ci si appoggia”.
Su come il gruppo fu recepito dai contemporanei al momento della sua collocazione nel Casino Borghese, possiamo solo azzardare delle ipotesi: l’ambiente ideale per la ricezione della statua fu sicuramente la situazione semipubblica della ristretta cerchia di personaggi che circondava il Borghese, accompagnati forse dalla lettura dei versi di Virgilio, si poté esperire l’Enea storico, che aveva portato il vegliardo Anchise, come archetipo, l’attuale cardinal nepote, che sosteneva il papa, come prototipo, e la scultura stessa come ectipo.
Oggi la statua è collocata alla Galleria Borghese, ed il suo messaggio cifrato, connesso al potere papale ed al suo sub sistema, il nepotismo, appartiene ad un lontano passato.

mercoledì 22 maggio 2013

Arte, Ipotesi interpretative della Tempesta di Giorgione

di Claudia Pellegrini

ARTE, IPOTESI INTERPRETATIVE DELLA TEMPESTA DI GIORGIONE - La Tempesta di Giorgione è stata ed è ancora oggetto di una fervida discussione interpretativa che dura da più di un secolo, e sembra non volersi avviare verso una conclusione. Il caso non è raro, basti pensare ad esempio alla Primavera di Botticelli, ma se per quanto riguarda quest’ultima un minimo di accordo sull’identità delle figure è stato raggiunto, sulla Tempesta le posizioni sono inconciliabili. Non vi è nemmeno accordo sulle premesse del dibattito, se cioè l’immagine racchiuda o meno una storia o un’allegoria, o non raffiguri invece una pura fantasia dell’artista.
La più antica descrizione del dipinto ce la fornisce Marcantonio Michiel, un patrizio veneziano, nel 1530, in cui descrive la Tempesta come “el paesetto in tela cun la tempesta, cum la cingana (zingara) et soldato”. Il veneziano sopra citato scriveva venti o venticinque anni dopo che il quadro era stato dipinto. È possibile che già non riuscisse a riconoscere se c’era o meno un soggetto? Però è un fatto che questi parlasse unicamente di una zingara, un soldato e della tempesta, definendo l’opera un paesaggio.
Molti studiosi moderni, basandosi su testo di Michiel, ritengono che la celebre tela sia soltanto un brillante prodotto della fantasia del pittore; il quadro sarebbe un delicato idillio, uno spettacolo di luce, di natura, di sentimenti umani, fine a se stesso. La Tempesta sarebbe il primo dipinto, dopo la caduta dell’Impero Romano, privo di un preciso soggetto, sacro o profano.
Altri controbattono che questa versione dei fatti contrasterebbe con la realtà storica di un’epoca in cui non si dipingeva un’immagine se non finalizzata a raffigurare una storia. Il problema sarebbe semmai quello di identificare la storia scelta da Giorgione o impostagli dai committenti.
Alla metà dell’Ottocento il quadro era intitolato “La famiglia di Giorgione”, cioè era visto come un ritratto dell’artista e dei suoi familiari. Il Wickhoff, studioso viennese, fu il primo a proporre, alla fine del XIX secolo, una lettura mitologica: Giorgione avrebbe illustrato un passo della Tebaide di Stazio, ed in particolare, il momento in cui Adrasto scopre in un bosco Hypsipyle nell’atto di allattare Ofelte, figlio di Licurgo.
Nel 1915, Rudolf Schrey, propose una diversa interpretazione: il soggetto sarebbe tratto dalle Metamorfosi di Ovidio; l’uomo e la donna sono Deucalione e Pirra, i progenitori dell’umanità scampati al diluvio universale. Nei decenni successivi altri studiosi, insoddisfatti da queste ipotesi, proposero altre interpretazioni.
Edgar Wind, ad esempio, interpretò il quadro come un collage di personificazioni astratte: l’uomo rappresenta la Fortezza, la donna la Carità che devono convivere con i rovesci della Fortuna, ovvero il fulmine. Altri hanno interpretato l’opera come un’allegoria dell’iniziazione alchemica, destinata ad una setta segreta veneziana; su questa falsariga Maurizio Calvesi ha riletto la Tempesta in un contesto alchemico, come un’allegoria dell’unione del cielo e della terra basato su uno scritto del filosofo neoplatonico Leone Ebreo.
Recentemente una studiosa, la De Grummond, ha ravvisato nella Tempesta, l’episodio agiografico della vedova e del figlioletto salvati da san Teodoro, santo protettore di Venezia. C’è da dire però che i due furono salvati dalla minaccia di un drago, di cui nel quadro giorgionesco non c’è traccia. Tutte le interpretazioni che via via sono state proposte hanno criticato e smantellato le precedenti, cercando di dimostrarne l’inconsistenza.
L’ultima teoria appartiene a Salvatore Settis, esposta in un libro apparso nel 1978, ha ravvisato come soggetto della tela Adamo ed Eva dopo la Cacciata. Adamo contemplerebbe Eva che allatta il piccolo Caino; alle spalle dell’uomo, le due colonne sarebbero un triste memento di morte. La città sullo sfondo sarebbe l’Eden perduto, mentre il fulmine la metafora dell’ira divina. Settis confronta il dipinto giorgionesco con una precedente versione dello stesso soggetto, un rilievo, di Amadeo, risalente al 1472, posto sulla facciata del mausoleo Colleoni a Bergamo, ravvisando una stringente somiglianza tra le due opere. Dio, raffigurato con sembianze umane nel rilievo, sarebbe stato dunque sostituito dal fulmine in Giorgione. Il mistero però non si risolve perché non vi è una sola rappresentazione di questo tema in cui Adamo sia vestito: egli è sempre nudo, come Eva, o ricoperto da un perizoma di foglie, o al massimo rivestito sommariamente con una rozza pelliccia; non è mai riccamente abbigliato come questo supposto Adamo dipinto da Giorgione. Secondo Settis c’è anche un serpente che si infila in un anfratto della roccia sotto un piede della supposta Eva, e sarebbe ovviamente il tentatore. Ebbene, questo ipotetico serpente è stato visto esclusivamente da Settis, dato che nel dipinto non ce n’è traccia, a meno che non scambiamo i rametti e le loro ombre al suolo per serpenti.
Neppure l’ultima lettura della tempesta è convincente: il mistero del soldato, della cingana e della tempesta non è risolto. Dopo tante interpretazioni contenutistiche riprende forza il partito di chi ritiene che la tela non abbia un soggetto. Il dibattito comunque continua.

martedì 21 maggio 2013

Salute, La tintarella artificiale e il rischio melanoma

 

di Serena Sgroi
SALUTE, TINTARELLA ARTIFICIALE E RISCHIO MELANOMA - Ogni anno aumenta l'incidenza dei tumori della pelle, sopratutto negli Stati Uniti e sopratutto tra i giovani. Forse anche a causa della "moda" del momento: quella di una tintarella perfetta. Pensando che la Terra riceve dal Sole un'energia pari a circa 1366 watt per metro quadrato di superficie (W/m2) e che la radiazione emessa dalla nostra stella non è concentrata su una sola frequenza, ma è distribuita su un ampio spettro, verrebbe da chiedersi come sia possibile la vita sul nostro pianeta. La risposta ce la dà la nostra atsmosfera: essa filtra i raggi solari (in parte li riflette e in parte li assorbe). In particolare, delle tre bande di luce ultra violetta (UV-A, UV-B e UV-C) solo la prima arriva sulla superficie terrestre, le altre due sono assorbite dallo strato di ozono. Ciò nonostante gli effetti di una sovraesposizione ai raggi uv sulla salute umana sono dannosi e ben noti; i risultati di un recente studio amerciano lanciano un nuovo allarme. Secondo i dati di una ricerca effettuata nei Centers for Disease Control di New York e Boston le ragazze fra i 15 ai 19 anni sono i soggetti per cui c'è un elevato rischio di contrarre un tumore della pelle, un melanoma. L'analisi degli scienziati americani, pubblicata sul numero di maggio di Pediatrics, rivela come il trend dell'abbronzatura perfetta stia aumentando notevolmente la possibilità, sopratutto nei giovani, di sviluppare un melanoma. Sono molteplici gli aspetti per cui poter affermare che prendere un po' di sole faccia bene al nostro organismo; come in ogni cosa peò, bisognerebbe saper non eccedere. Indossare sempre una adeguata crema protettiva, non esporsi nelle ore più calde della giornata, etc. possono apparire delle "noiose" regole, sopratutto per i teenager. E chi non ha la possibilità di andare in spiaggia spesso ricorre all'abbronzatura artificiale, quella delle lampade abbronzanti. Nello specifico di quanto osservato dagli autori della pubblicazione, la più dannosa sembra essere proprio l'abbronzatura "da lampada". I danni al Dna cellulare, derivanti dalle docce e dai lettini abbronzanti che ormai quasi tutti i centri estetici propongono sono "irreparabili" poichè l'eccessiva esposizione al raggi uv altera le regolari funzioni dei geni.

Arte, Lo Stile Gotico

di Claudia Pellegrini

ARTE, LO STILE GOTICO - Il Gotico è un fenomeno artistico di carattere europeo che nasce e matura nella Francia Settentrionale tra il 1150 ed il 1200 per poi diffondersi in tutta Europa assumendo in ogni paese caratteri propri. Viene considerato espressione della società comunale appena sorta, e persegue i valori di concretezza, operosità, lavoro, creatività e ingegno. Il suo è un linguaggio fortemente espressivo e diretto, semplice e con accenti popolari, esprime la forza e gli ideali della comunità vista come insieme di personalità individuali.
Per quanto riguarda l’arte, rappresenta invece il linguaggio artistico della classe aristocratica e del potere della chiesa dell’epoca. Segue gli ideali cavallereschi, cortesi e religiosi, e predilige un linguaggio espressivo elegante, inerente a quello della poesia provenzale e trobadorica. Nato nell’ambito della monarchia francese, il Gotico raggiunge più lentamente l’Italia, mentre attecchisce più velocemente in Inghilterra, Germania e Spagna.
In Italia questo movimento artistico – culturale giunge inizialmente ad opera dell’ordine dei Cistercensi, i quali costruiscono le loro abbazie soprattutto nelle regioni settentrionali e centrali. Tra queste ricordiamo l’Abbazia di Fossanova, nel Lazio, e l’Abbazia di San Galgano, vicino Siena. Altro centro importante di diffusione del Gotico è il Regno di Napoli, nella corte di Federico II, nella seconda metà del 1200, quando era un ricco centro di cultura ed arte internazionale che ospitava artisti, letterati e scienziati italiani, francesi ed arabi. In seguito anche altre città italiane accolgono ed elaborano in modo diverso ed originale questo stile che, rapidamente, si diffonde in tutta la penisola.
Le principali caratteristiche dell’arte gotica sono la linea, il volume, la luce ed il colore, il naturalismo della geometria.
La linea è intesa come linea di tensione, che ha slancio verso l’alto come espressione di trascendenza. Questo principio viene seguito soprattutto dalle cattedrali, che si sviluppano molto in altezza, evidenziando le linee verticali dei sostegni e le numerose guglie. Però la linea può anche essere ondulata, con un movimento ritmico, come espressione di grazia; questo è evidente nelle figure della pittura e della scultura, le quali hanno forme allungate e molte linee curve che ne addolciscono i tratti, gli atteggiamenti e rendono la realizzazione di panneggi più morbida. Sono figure eleganti, aggraziate e dolci, tipiche della società aristocratica cortese.
Il volume è pieno ma allo stesso tempo leggero, reso dinamico da linee di tensione, incurvature ed effetti che simulano il movimento. Si ricerca continuamente la massima luminosità utilizzando colori purissimi e accostamenti vivaci, cercando di realizzare effetti raffinati e preziosi.
L’estetica gotica si ricollega con l’atteggiamento filosofico dell’epoca che prende spunto dalla natura e poi la trascende alludendo ad un senso divino. Di conseguenza ci si rivolge alle forme della natura ma non tralasciando mai la stilizzazione geometrica. Inoltre bisogna ricordare che il Gotico appartiene a quella particolare visione del mondo espressa da Tommaso d’Aquino e Bonaventura, che successivamente sfocerà nella poesia dantesca.
Tornando in Italia, c’è da dire che, rispetto agli altri paesi europei, dove il gotico ha avuto ampio sviluppo, qui si è protratto meno, e non solo, non è mai stato adottato integralmente ma piuttosto filtrato attraverso una particolare visione classica. Sarà proprio questa differenza a sfociare nel futuro Rinascimento, nato proprio in Italia. Nelle nostre città si manifestano molte derivazioni e adattamenti del gotico transalpino su quelli che erano gli stili precedenti, cioè il Romanico, il Bizantino e il Classico, che comunque persistono, soprattutto in pittura, per tutto il 200; infatti il momento di massimo sviluppo del Gotico italiano è il Trecento.
Nella prima metà del 200, in Italia, sulle strutture solide e massicce, piuttosto semplici in stile Romanico, si innestano o si sovrappongono elementi gotici che possono essere sia strutturali, come archi acuti, volte a ogiva, pilastri a fasci ed archi rampanti, ma anche elementi ornamentali, tipo cornici, portali o finestre. Successivamente, nella seconda metà del 200, si registra un progressivo orientamento verso il nuovo gusto, ma le caratteristiche che assumerà, non realizzeranno  mai quell’altezza vertiginosa, la ricchezza delle decorazioni che si possono ammirare nelle cattedrali degli altri paesi europei. In Italia il gusto è sempre improntato sull’equilibrio razionale, l’armonia, anche quando si introduce qualche elemento di sproporzione. Dunque lo slancio verticale è sempre compensato da uno sviluppo orizzontale, la struttura è più semplice, senza quegli intrichi fitti di pilastri e nervature, le decorazioni sono più sobrie e contenute.
Per quanto riguarda la pittura invece, influenzata molto dalla scultura, si tende a graduare i chiaroscuri, definire i contorni con più attenzione, dando importanza a realismo e concretezza. Anche nella scelta dei colori ci sono novità: alla compostezza basata su vivaci contrasti, si affianca con maggiore frequenza la sfumatura. Le tecniche più usate sono quella del mosaico e dell’affresco, affianco alla pittura su tavola, molto utilizzata per la decorazione degli altari, in relazione al diffondersi del culto dei santi; si tratta delle pale d’altare, dei trittici, dei polittici e delle croci dipinte. Un’altra importante innovazione della pittura italiana è la committenza laica, che affianca quella religiosa, e che richiede agli artisti anche miniature e dipinti di dimensione minore destinati ad uso privato, con soggetti non solo sacri ma anche di carattere profano, come ad esempio soggetti tratti dal mito, dalla storia ma anche dagli ideali cortesi e cavallereschi.

lunedì 20 maggio 2013

Cultura, Le Catacombe di Parigi

di Claudia Pellegrini

CULTURA, LE CATACOMBE DI PARIGI - Per tutti coloro che si trovano a visitare la splendida città di Parigi è usuale fare un giro per il Louvre, dare un’occhiata alla Monna Lisa e poi proseguire alla scoperta di Notre Dame, della Tour Eiffel, degli Champs Élysées, fare un giro al Marais, al Quartiere Latino ed al Cimitero di Pére Lachaise, ma anche organizzarsi per raggiungere la Reggia di Versailles. Eppure c’è un percorso nascosto, sotterraneo, che non tutti i turisti hanno il coraggio di affrontare, ed è quello delle famose Catacombe, purtroppo poco conosciute poichè non tutti sanno che Parigi nelle sue viscere custodisce un affascinante mondo sotterraneo, in parte addirittura inesplorato. Nel sottosuolo, in particolare nella zona sud della capitale, si snodano ben 300 km di gallerie e cunicoli a circa 25-30 metri di profondità, articolate su tre diversi livelli. Proprio un tratto di queste è occupato dalle Catacombe, l’ossario comunale di Parigi, meta dei più arditi visitatori.
La storia di questi labirinti è molto più antica della città che li ospita. In epoca romana erano le cave di pietra dalle quali si estraeva il materiale impiegato per costruire gli edifici, e queste estrazioni continuarono per secoli in maniera indiscriminata. Nel XVIII secolo, Luigi XVI ne regolamentò l’uso istituendo l’Ispettorato Generale delle Cave, con il compito di mettere in sicurezza gli edifici in superficie: era infatti frequente il crollo di questi ultimi. Per secoli cunicoli e gallerie fecero da scenario ai momenti più critici della storia di Parigi: nascondiglio per fuggiaschi ed insorti, covo della malavita, ricovero per senzatetto … Durante la Seconda Guerra Mondiale i tedeschi vi istallarono addirittura dei bunker anti aerei, mentre la Resistenza vi insediò il proprio quartier generale dopo la Liberazione. Attualmente, tranne che nel tratto delle Catacombe, l’accesso è vietato, anche se non è raro che i curiosi o gli appassionati del genere, i cosiddetti cataphiles, vi si introducano illegalmente, dopotutto la curiosità nei confronti di questi luoghi vi aveva spinto all’interno anche personaggi illustri come Carlo X, Francesco I imperatore d’Austria e Napoleone III.
L’idea di realizzare un ossario in queste gallerie venne ad un luogotenente di polizia, un certo Lenoir, al quale sembrò opportuno per chiudere una volta per tutte l’antico Cimitero des Innocentes. Questo sorgeva nella zona di Les Halles, area che oggi è occupata dal Mercato; la sua chiusura divenne necessaria a causa del crollo di uno dei muri perimetrali dovuto alla formazione eccessiva di liquami organici. Non dimentichiamo che fino al Seicento, quando in Francia furono emanate le prime leggi in materia di cimiteri, il metodo di sepoltura più diffuso era quello della fossa comune, i cadaveri venivano infatti accatastati uno sull’altro coperti solo da un sudario. Ovviamente la mortalità all’epoca era altissima a causa di guerre, malattie ed epidemie varie, di conseguenza, in breve tempo, la situazione igienica in prossimità di questo luogo era diventata drammatica per la salute pubblica. Oltretutto i cimiteri generalmente sorgevano vicino le chiese, fulcro della vita quotidiana della comunità. Fino al XVIII secolo inoltrato dunque, erano state molte le proteste degli abitanti di Parigi che si lamentavano per l’aria mefitica di questi posti. Si racconta che, in seguito al crollo sopra citato, resti di cadaveri furono rinvenuti da un oste che era sceso in cantina a spillare del vino. Le Catacombe furono consacrate ufficialmente nel 1786, e divennero l’ossario generale dei cimiteri parigini. La traslazione dei resti dal Cimitero des Innocentes si protrasse per ben due anni, mentre fino al 1814 continuarono ad affluirvi ossa provenienti da tutti gli altri cimiteri che, dopo l’editto napoleonico (1604) non potevano più sorgere all’interno delle mura cittadine.
L’ingresso delle Catacombe si trova in Place Denfert – Rochereau, e vi si accede mediante una scala a chiocciola. L’atmosfera è quasi irreale, sembra di entrare nel regno di Ade. Sopra l’ingresso della galleria campeggia una scritta che recita: “ Arrete! C’est ici l’empire de la mort”. I resti umani sono disposti lungo i corridoi, a lato, in maniera quasi artistica, se così si può dire. Non è certo uno spettacolo per gli impressionabili essere fissati da tutte quelle orbite vuote, ma sicuramente, inserire la visita delle Catacombe all’interno del nostro tour parigino non è solo un modo per arricchire il bagaglio culturale, ma anche un modo per riflettere sull’ineluttabilità della morte e la conseguente caducità della vita.

domenica 19 maggio 2013

Arte, Sandrart: Teutsche Academie e Pittura di Paesaggio

di Claudia Pellegrini

ARTE, SANDRART: TEUTSCHE ACADEMIE E PITTURA DI PAESAGGIO - La produzione pittorica di Sandrart è stata spesso ingiustamente trascurata, eppure il suo tributo nell’ambito della pittura di paesaggio non può essere ignorato, soprattutto se inserito in quel contesto artistico così fervido degli anni 30 del 1600. Cruciale fu la sua esperienza a Roma tra gli anni 1629 e 1635, periodo in cui la pittura di paesaggio si impose sul mercato con dirompenti novità e grande realismo, soprattutto grazie al diffondersi della tecnica en plein air.
Il pensiero di Sandrart in merito al paesaggio è espresso chiaramente nelle sua Teutsche Academie, pubblicata a Norimberga tra il 1675 e il 1679, e mostra la sua speciale sensibilità per l’osservazione della natura, inoltre, grazie alla presenza nell’opera di documenti figurativi, anche quanto egli fosse partecipe di questa atmosfera espressiva. Pur rimanendo legato alla gerarchia dei generi, il pittore dedica ampio spazio alla pittura di paesaggio in più passi del suo testo; un intero capitolo è dedicato a quest’arte, ma anche diverse biografie di esponenti del genere.
Al di là delle impressioni personali, spesso prende in considerazione altre fonti; nel caso della pittura di paesaggio, ad esempio, il riferimento è lo Schilderboek di Karel van Mander (poeta e storico fiammingo). Da questo poema didascalico viene ripresa l’esortazione ai giovani pittori di uscire dall’abitato, di buon mattino, recarsi in campagna ed osservare la natura, con tanto di descrizione mitologico-allegorica del sorgere del giorno, rappresentato dal carro dell’Aurora, e dall’avvicendarsi delle divinità del sole e della terra. A questo cappello retorico segue una serie di suggerimenti, volti a proporre un modello di paesaggio secondo criteri di armonia e decoro: lo sfondo deve essere steso con tinte chiare in modo che riverberino nella luce, è opportuno inserire delle costruzioni ma non in numero eccessivo, l’immagine risulta più piacevole se è inserita in particolari condizioni climatiche, come ad esempio durante un temporale o nelle stagioni in cui le foglie degli alberi ingialliscono … Il testo prosegue con richiami a quei pittori che, a suo parere, si sono distinti nel genere, come Tiziano o Breughel.
Sandrart attribuisce quindi al paesaggio una valenza decorativa, una funzione di sfondo e di scenario più che una rispondenza poetica e di evocazione storica o letteraria; inoltre è evidente che la sua, più che una posizione teorica è piuttosto una serie di utili consigli pratici, in linea con l’intento pedagogico del volume. Già in questo contesto il tedesco cita Claude Lorrain, e fornisce preziose informazioni sulla sua pratica pittorica; inoltre, è il primo a menzionare l’innovativa tecnica di dipingere a olio, su tela o su carta preparata, direttamente dal naturale, a suo giudizio preferibile rispetto all’uso più consueto dello schizzo monocromo a carboncino. È proprio lo stesso Sandrart ad affermare di essere stato lui a suggerire a Lorrain tale pratica, aprendogli le porte del successo; ed in effetti potrebbe essere stato davvero così, poiché il tedesco si trovava a Roma proprio quando, alla metà degli anni 30, crebbe vertiginosamente il successo del pittore francese, anche se non può essere provato che non sia accaduto esattamente il contrario.
Sandrart inoltre menziona anche un altro importante realizzatore di paesaggi, l’olandese Hermann van Swanevelt, del quale narra che non disegnava mai nelle accademie, ma preferiva esercitarsi nelle riproduzioni del corpo umano riproducendo modelli viventi poiché, secondo il suo parere, era necessario molto più lavoro per una piccola figura umana piuttosto che per l’intero paesaggio.Importante è anche la biografia dedicata ad Adam Elsheimer, considerato il suo maestro ideale; la qualità che ammira di più nei suoi paesaggi è la delicatezza poetica, l’atmosfera sognante, e le fonti di illuminazione che rappresentano in maniera realistica e naturale i fenomeni celesti.
Sono molti i disegni di paesaggio attribuiti a Sandrart, tutti riconducibili al periodo romano, caratterizzati da netti contrasti di luce, tutti mostrano il fascino che dovette subire il tedesco davanti ai sereni cieli romani incendiati dal sole, nonché dalla presenza in ogni dove delle antiche vestigia romane. Sappiamo che, appena giunto nella città dei papi, fu subito catturato nell’orbita di Lorrain, con il quale non solo aveva coabitato per un periodo, ma si recava a disegnare nella Villa Giustiniani al Popolo. Ad attrarlo maggiormente furono le rovine, di cui eseguì diversi disegni, questo tipo di paesaggio evocativo era un ottimo sfondo, tanto da essere molto popolare tra i paesaggisti.
Un caso di particolare interesse è il Campo Vaccino, di cui si hanno due incisioni, considerato la base di partenza di un quadro del già citato Lorrain. Era un soggetto particolarmente apprezzato, tanto da essere presente anche in un dipinto di AgostinoTassi, primo maestro di Lorrain a Roma.
Altro topos del paesaggio degli anni 30 è il Vesuvio in eruzione; il soggetto, carico di valenze umanistiche e rievocazioni pliniane, era particolarmente attuale perché proprio nel dicembre 1631 si era verificata una spettacolare eruzione. Sandrart afferma di averlo disegnato nel corso del suo viaggio nell’Italia del Sud, mentre ripercorreva le tappe caravaggesche: Napoli, Messina, Malta.
Importante è anche la rappresentazione degli alberi, i quali sono considerati i muscoli del paesaggio; secondo ciò che scrive, le chiome devono sembrare attraversate dall’aria e dalla luce, ondeggianti al vento, e non devono essere troppo tonde, né troppo piatte, né troppo aguzze.
Finito il periodo romano Sandrart, nelle ambientazioni di quadri quali l’Educazione di Giove, la Sacra Famiglia, o Nozze Mistiche di Santa Caterina, non dimenticherà di continuare gli studi sul paesaggio, infatti sono diversi i fogli con schizzi, attribuiti al tedesco, in cui sono rappresentati alberi e boschi, ma c’è anche un interessante disegno a sanguigna del 1651, in cui è rappresentata la Tomba di Cecilia Metella con due figurette in primo piano, una delle quali seduta con un libro aperto, e l’altra in piedi con un bastone.