mercoledì 22 maggio 2013

Arte, Ipotesi interpretative della Tempesta di Giorgione

di Claudia Pellegrini

ARTE, IPOTESI INTERPRETATIVE DELLA TEMPESTA DI GIORGIONE - La Tempesta di Giorgione è stata ed è ancora oggetto di una fervida discussione interpretativa che dura da più di un secolo, e sembra non volersi avviare verso una conclusione. Il caso non è raro, basti pensare ad esempio alla Primavera di Botticelli, ma se per quanto riguarda quest’ultima un minimo di accordo sull’identità delle figure è stato raggiunto, sulla Tempesta le posizioni sono inconciliabili. Non vi è nemmeno accordo sulle premesse del dibattito, se cioè l’immagine racchiuda o meno una storia o un’allegoria, o non raffiguri invece una pura fantasia dell’artista.
La più antica descrizione del dipinto ce la fornisce Marcantonio Michiel, un patrizio veneziano, nel 1530, in cui descrive la Tempesta come “el paesetto in tela cun la tempesta, cum la cingana (zingara) et soldato”. Il veneziano sopra citato scriveva venti o venticinque anni dopo che il quadro era stato dipinto. È possibile che già non riuscisse a riconoscere se c’era o meno un soggetto? Però è un fatto che questi parlasse unicamente di una zingara, un soldato e della tempesta, definendo l’opera un paesaggio.
Molti studiosi moderni, basandosi su testo di Michiel, ritengono che la celebre tela sia soltanto un brillante prodotto della fantasia del pittore; il quadro sarebbe un delicato idillio, uno spettacolo di luce, di natura, di sentimenti umani, fine a se stesso. La Tempesta sarebbe il primo dipinto, dopo la caduta dell’Impero Romano, privo di un preciso soggetto, sacro o profano.
Altri controbattono che questa versione dei fatti contrasterebbe con la realtà storica di un’epoca in cui non si dipingeva un’immagine se non finalizzata a raffigurare una storia. Il problema sarebbe semmai quello di identificare la storia scelta da Giorgione o impostagli dai committenti.
Alla metà dell’Ottocento il quadro era intitolato “La famiglia di Giorgione”, cioè era visto come un ritratto dell’artista e dei suoi familiari. Il Wickhoff, studioso viennese, fu il primo a proporre, alla fine del XIX secolo, una lettura mitologica: Giorgione avrebbe illustrato un passo della Tebaide di Stazio, ed in particolare, il momento in cui Adrasto scopre in un bosco Hypsipyle nell’atto di allattare Ofelte, figlio di Licurgo.
Nel 1915, Rudolf Schrey, propose una diversa interpretazione: il soggetto sarebbe tratto dalle Metamorfosi di Ovidio; l’uomo e la donna sono Deucalione e Pirra, i progenitori dell’umanità scampati al diluvio universale. Nei decenni successivi altri studiosi, insoddisfatti da queste ipotesi, proposero altre interpretazioni.
Edgar Wind, ad esempio, interpretò il quadro come un collage di personificazioni astratte: l’uomo rappresenta la Fortezza, la donna la Carità che devono convivere con i rovesci della Fortuna, ovvero il fulmine. Altri hanno interpretato l’opera come un’allegoria dell’iniziazione alchemica, destinata ad una setta segreta veneziana; su questa falsariga Maurizio Calvesi ha riletto la Tempesta in un contesto alchemico, come un’allegoria dell’unione del cielo e della terra basato su uno scritto del filosofo neoplatonico Leone Ebreo.
Recentemente una studiosa, la De Grummond, ha ravvisato nella Tempesta, l’episodio agiografico della vedova e del figlioletto salvati da san Teodoro, santo protettore di Venezia. C’è da dire però che i due furono salvati dalla minaccia di un drago, di cui nel quadro giorgionesco non c’è traccia. Tutte le interpretazioni che via via sono state proposte hanno criticato e smantellato le precedenti, cercando di dimostrarne l’inconsistenza.
L’ultima teoria appartiene a Salvatore Settis, esposta in un libro apparso nel 1978, ha ravvisato come soggetto della tela Adamo ed Eva dopo la Cacciata. Adamo contemplerebbe Eva che allatta il piccolo Caino; alle spalle dell’uomo, le due colonne sarebbero un triste memento di morte. La città sullo sfondo sarebbe l’Eden perduto, mentre il fulmine la metafora dell’ira divina. Settis confronta il dipinto giorgionesco con una precedente versione dello stesso soggetto, un rilievo, di Amadeo, risalente al 1472, posto sulla facciata del mausoleo Colleoni a Bergamo, ravvisando una stringente somiglianza tra le due opere. Dio, raffigurato con sembianze umane nel rilievo, sarebbe stato dunque sostituito dal fulmine in Giorgione. Il mistero però non si risolve perché non vi è una sola rappresentazione di questo tema in cui Adamo sia vestito: egli è sempre nudo, come Eva, o ricoperto da un perizoma di foglie, o al massimo rivestito sommariamente con una rozza pelliccia; non è mai riccamente abbigliato come questo supposto Adamo dipinto da Giorgione. Secondo Settis c’è anche un serpente che si infila in un anfratto della roccia sotto un piede della supposta Eva, e sarebbe ovviamente il tentatore. Ebbene, questo ipotetico serpente è stato visto esclusivamente da Settis, dato che nel dipinto non ce n’è traccia, a meno che non scambiamo i rametti e le loro ombre al suolo per serpenti.
Neppure l’ultima lettura della tempesta è convincente: il mistero del soldato, della cingana e della tempesta non è risolto. Dopo tante interpretazioni contenutistiche riprende forza il partito di chi ritiene che la tela non abbia un soggetto. Il dibattito comunque continua.

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