lunedì 6 maggio 2013

Arte, I Bamboccianti: Realismo e Scena di Genere

di Claudia Pellegrini

ARTE, I BAMBOCCIANTI - Il genere di pittura popolare con soggetti estranei alla storia ed alla religione, ebbe significativi sviluppi tanto da rinnovare la ricerca figurativa realistica grazie all’attività di alcuni artisti olandesi. Nel primo trentennio del XVII secolo, gli olandesi residenti a Roma fondarono una corporazione professionale che fungeva anche da centro di ritrovo; la loro attività sollevò vasto interesse presso i collezionisti, amanti delle novità, ma aspre critiche di pittori e teorici classici. Giovanni Bellori, il critico ufficiale del secolo, così come fraintese addirittura l’opera di Caravaggio, allo stesso modo negò valore alle scene di vita di strada e agli avvenimenti quotidiani.
Iniziatore del nuovo genere fu Pieter van Laer, detto il Bamboccio a causa del suo aspetto deforme, il quale aveva lasciato l’Olanda negli anni 20 per stabilirsi a Roma; vi rimase un quindicennio, vivendo il periodo più creativo della sua carriera. La sua vena narrativa diede una visione dettagliata nei particolari della Roma dell’epoca, mediante scene che rappresentavano venditori ambulanti, giocatori di morra, feste e processioni, ciarlatani, interni di botteghe, borghi abitati da gente umile.
Significativa è la tela Il Ciambellaro, eseguita nel 1630, che rivela una componente fondamentale nella cultura dell’artista, ovvero il realismo antiretorico, oltre che alla maestria del gioco luce ed ombra. Dunque, la pittura del Bamboccio e dei suoi numerosi seguaci, i Bamboccianti, propose la conoscenza di una nuova città papale, non più esclusivamente monumentale, ma un luogo che invitava alla riflessione politica e sociale.
Più orientato verso l’aspetto cronachistico è l’italiano Michelangelo Cerquozzi, che con le sue scene vivaci di costume, quali la Raccolta delle melograne oppure l’Abbeveratoio, sviluppò uno stile autonomo, che non di rado affrontava anche soggetti sacri di grande formato, battaglie e nature morte.
La scena di genere continuò la sua ascesa fino ad approdare, all’inizio del XVIII secolo, a Napoli, dove la rappresentazione di episodi di vita quotidiana dei diversi ceti sociali convisse insieme alla produzione pittorica più aulica. Un rappresentante d’eccezione di questo filone napoletano è stato Gaspare Traversi, che seppe leggere le contraddizioni della società napoletana in chiave antiaristocratica. L’attenzione dell’artista captava con rigorosa obiettività la realtà umana senza maschere, nella sua miseria, con le sue debolezze, contraddizioni e speranze, spesso con pungente ironia. Un esempio può essere la tela La lettera d’amore carica di espressività, riconducibile anche a quella nuova forma di teatro popolare e borghese che al tempo si stava sostituendo alla vecchia Commedia dell’Arte.
Anche nell’Italia settentrionale affiorarono alcune personalità che poterono competere con Traversi per la spiccata capacità di rappresentare la realtà. È il caso di Giacomo Ceruti, bresciano, autore di dipinti sacri e di una ben più copiosa produzione ritrattistica e di genere, nella quale rifluirono il naturalismo caravaggesco, la pittura di genere nordica, le incisioni del francese Callot e quel filone realistico lombardo radicato nel territorio sin dal 400. Egli proponeva una tematica pauperistica, dipingendo idioti, mendicanti, lavandaie, uomini di fatica, che gli valsero l’appellativo di Pittocchetto. Si distinse per una lettura spoglia da curiosità, ironia e descrittivismo compiaciuto, prediligendo la rappresentazione di un’umanità anonima, anche lacera e pezzente, ma autentica e viva, concreta nella sua individuale realtà, come si evince, ad esempio dalla tela La lavandaia.

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