martedì 30 aprile 2013

Arte, Wunderkammer: il paradiso segreto del collezionista

di Claudia Pellegrini

ARTE,WUNDERKAMMER PARADISO SEGRETO DEL COLLEZIONISTA - Sicuramente non tutti conoscono il termine Wunderkammer. Letteralmente significa “camera delle meraviglie”, e viene usato per indicare un particolare genere di collezione, affermatosi nel corso del XVI secolo, di tipo non specialistico, cioè che riunisce nello stesso luogo oggetti anche molto diversi tra loro. Al collezionista interessava infatti tutto ciò che era raro e curioso, le cosiddette mirabilia, sia che si trattasse di prodotti della natura (naturalia), sia oggetti costruiti dall’uomo (artificialia), l’importante è che fossero oggetti straordinari.
In questi luoghi era possibile imbattersi in animali con due teste, coppie di gemelli con una parte del corpo in comune, ortaggi dalle forme bizzarre o superiori alla media, barattoli di vetro con dentro parti del corpo umano o feti ed animali; spesso sul tetto della camera o anche alle pareti vi erano appesi animali essiccati, come ad esempio piccoli coccodrilli o lucertole, mammiferi ed uccelli, ma anche conchiglie rare.
Gli oggetti, affiancati uno accanto all’altro secondo criteri di catalogazione alquanto bizzarri per il nostro tempo, esprimevano il desiderio tipicamente umanista della conoscenza enciclopedica del mondo. Le collezioni erano infatti anche viste come occasioni di studio e di sperimentazione, non a caso, contenevano svariati strumenti di osservazione, nonché complicatissimi attrezzi meccanici. Ovviamente però, dato il costo ingente di tali reperti, possedere una Wunderkammer degna del suo nome, era appannaggio esclusivo di re e nobili, o comunque di ricchi intellettuali, ma anche di conventi e monasteri. Non era infrequente infatti che nelle abbazie si ospitassero non solo libri rari, ma anche piccole Wunderkammer che contenevano preferibilmente oggetti legati allo studio ed alla scienza, soprattutto in virtù del fatto che questi luoghi spesso ricevevano donazioni, eredità ed ex voto per grazia ricevuta, tanto che a volte i monaci, nel XVIII secolo, ne consentivano la fruizione al pubblico, quasi si trattasse di un museo.
Questo interesse per lo strano ed il meraviglioso non era un fenomeno nuovo, già nel Medioevo tra i tesori delle chiese, erano presenti rarità ed oggetti curiosi; ma solo a partire dal Rinascimento si cominciano a sviluppare collezioni particolari.
Il momento che unisce le due epoche è rappresentato degnamente da Jean de Berry nel castello di Mehun-sur-Yèvre. In questo posto troviamo affiancati gli oggetti più disparati: pietre preziose e perle, pezzi rari di oreficeria, reperti di vario genere come muschi, ambre, contravveleni, orologi meccanici; c’è anche un piccolo gabinetto di storia naturale, con tanto di uova di struzzo, denti di balena, mascelle di serpente.
Questo insieme di oggetti è specchio della tendenza all’universalità che diventerà la caratteristica del collezionismo più tardo. Come esempio si può citare la collezione che l’arciduca Ferdinando del Tirolo fece allestire nel castello di Ambras nella seconda metà del XVI secolo, oggi ancora parzialmente visibile nei musei. La collezione in questione era ordinata in diciotto armadi dal colore diverso, nei quali erano custoditi gli oggetti divisi a seconda del materiale e della tecnica di lavorazione: pietre dure, ferro, avorio, corallo, alabastro, bronzo, ceramica, porcellana. Uno degli armadi conteneva vasellame vario, tra cui la famosa saliera di Cellini, una splendida opera scultorea in ebano, oro e smalto, realizzata appunto da Benvenuto Cellini durante il suo soggiorno in Francia, tra il 1540 ed il 1543; nonostante le sue dimensioni ridotte, è indubbiamente un capolavoro d’oreficeria. In un altro armadio c’erano le pietre lavorate, cioè quei minerali incisi e sistemati in montature; in un altro c’erano strumenti musicali di vario genere; un altro ancora era riservato agli oggetti di meccanica: orologi, strumenti astronomici, ottici e matematici; in un altro c’erano rarità esotiche provenienti dall’Oriente.
Raccolte di questo genere, accomunate dal gusto per il curioso ed il particolare, si diffusero in ogni paese europeo. Un altro esempio può essere quella dei duchi di Baviera, costruita da Rodolfo II nel castello di Hradschin a Praga e, per non dimenticare l’Italia, quella più tarda del milanese Manfredo Settala che, prendendo spunto dalle grandi collezioni nordiche, comprendeva lavori in ambra, corallo, strumenti meccanici e curiosità naturali.
Tuttavia è necessario precisare che in Italia, la variante alla Wunderkammer è il più classico studiolo, una sorta di piccolo museo sito in genere nell’angolo più intimo ed appartato della casa o del palazzo. Questo ambiente era stato pensato originariamente come un luogo di studio, quindi corredato di libri, leggii e tutto l’occorrente per scrivere; durante il Rinascimento invece muta forma e contenuto, diventando il sito ideale per le collezioni private di scienza ed arte. Tra gli studioli italiani più famosi ricordiamo quello di Isabella d’Este, quelli di Federico da Montefeltro a Urbino e a Gubbio, quello di Francesco I de’ Medici a Palazzo Vecchio a Firenze, particolarmente significativo.
Soffermiamoci meglio su quest’ultimo; eseguito dopo il 1570 da una serie di artisti, tra cui Vasari, Borghini, Santi di Tito, i quali si adoperarono per decorare di splendide pitture lo studiolo di Francesco I, umbratile letterato, interessato all’alchimia, collezionista di gioie, medaglie, pietre intagliate, vasi e cristalli lavorati. Le decorazioni eseguite alludevano al lavoro delle manifatture granducali fondate dallo stesso Francesco, che amava partecipare direttamente alla realizzazione degli oggetti e alla sperimentazione delle nuove tecniche di lavorazione.

Storia e società, il matrimonio omossessuale e le adozioni

di Neraida Rustja
 
STORIA E SOCIETA, MATRIMONIO OMOSESSUALE - Negli ultimi anni cresce sempre di più il numero dei paesi che hanno deciso di accettare le nozze gay e perché no anche le adozioni dalla parte di coppie dello stesso sesso. Questa richiesta politica e sociale nasce dall’esigenza di eliminare la disparità di trattamento fra unioni eterosessuali e quelli omossessuali sul fatto che il diritto al matrimonio sia un diritto individuale della persona.
 
Dalla fine del 2000 molti paesi hanno fatto il primo passo verso la realizzazione delle nozze omossessuali ed hanno fatto in modo che dimostrassero a tutto il mondo la parità con la quale vengono trattati sia omossessuali che etero, dando loro il diritto di manifestare il proprio amore apertamente e senza scrupoli. In questo modo oggi il matrimonio gay è valido nei Paesi Bassi, in Belgio, in Spagna, in portogallo in Canada, in Sudafrica, in Svezia, in Norvegia, in Danimarca, in Islanda, in Argentina, in Uruguay, in Messico, in Nuova Zelanda, in Francia e in ben nove stati USA:  Massachusetts, Connecticut, Iowa,  Vermont, New Hampshire, New York, Washington, Maine , Maryland.
Dopo durissimi conflitti sociali, politici e religiosi da parte di molti paesi la validità di tali matrimoni è legale dal 2001 arrivando fino ad oggi. L’aspirazione al matrimonio ha sempre caratterizzato la comunità omosessuale ma ha sempre trovato molti ostacoli nell’opposizione della società che considerava questo legame come un mezzo per garantire la riproduzione.
 
Dunque  alcune tracce di tale aspirazione sono state riconosciute in diversi momenti storici: nella Grecia antica, Roma, così come nel Medioevo.
 
In Grecia la relazione tra adulto e giovane cioè erastes ed eromènos comportava particolari responsabilità sociali e religiose per coloro che erano contrari. All’epoca della civiltà Minoica, il rito cretese arpaghè consisteva nel rapimento rituale di un ragazzo appartenente alla nobiltà da parte di un maschio adulto della classe aristocratico/ guerriera, con il consenso del padre del ragazzo. Si trattava di quello che oggi chiameremmo una forma di pederastia arcaica che si trattava sempre e dunque di due persone dello stesso sesso. In seguito il philetor cioè l’uomo più grande conduceva il ragazzo chiamato kleinos glorioso (cioè colui che era capace di distinguersi e farsi conoscere dall’amante) in luoghi desertici o montuosi dove trascorrevano insieme molti mesi andando a caccia e dormento assieme. Se il giovane ragazzo alla fine del periodo trascorso col philetor si dimostrava soddisfatto di come l’adulto lo aveva trattato cambiava il suo titolo in parastates ( colui che combatte in battaglia accanto al proprio amante) e poteva continuare la sua vita legandosi col suo philetor.
 
Questa tradizione aveva una funzione molto istituzionalizzata perché oltre all’insegnamento della competenza di un giovane che s’appresta ed entra nell’età adulta, riconosceva gli uomini migliori per il buon funzionamento della società ed offriva la possibilità  sia all’amante che all’amato di dimostrare i propri valori ed il proprio carattere nobile meritevole di rispetto.
 
Inoltre anche i riti del tiaso di Saffo presentato cerimonie che potevano legare simbolicamente due donne: si tratta di associazioni religiose che celebravano il dio Dioniso con canti e danze. Saffo era una poetessa di lirica che fondò un tiaso celebrante invece il culto di Afrodite e la sacerdotessa era lei stessa. 
 
All’interno di queste associazioni venivano mandate ragazze di famiglie facoltose per essere meglio istruite. Esse finalizzate al matrimonio venivano educate e insegnate a cantare, danzare, ricercare la bellezza e l’amore. Ma erano frequenti i loro rapporti omossessuali tra le allieve che tra le ragazze e Saffo stessa. Rapporto che era incoraggiato in quanto si riteneva che fosse di preparazione all’amore eterosessuale del matrimonio.
 
Nell’antica Roma troviamo spesso dei racconti contenenti tracce di rapporti tra lo stesso sesso. Uno dei più celebri è quello del matrimonio tra l’imperatore Nerone e Sporo: Nel 66 d.C. durante una lite l’imperatore ferì la moglie Poppea, uccidendola. Per nascondere questo tragico atto ordinò di trovare una donna o un uomo dallo stesso volto della moglie uccisa. Così trovarono un giovane liberto dal nome Sporo il cui viso era magnificamente simile a quello di Poppea. Dunque si narra che Nerone abbia ordinato ai suoi chirurghi di castrarlo e trasformarlo in donna (la prima operazione di cambiamento di sesso storicamente descritta) cosa che permise a Sporo di ricevere il titolo di Augusta.
 
Nonostante le interpretazioni siano esplicite, questo rito è interpretato oggi come una cerimonia di matrimonio mistico con una divinità tipica dei culti misterici.
 
Più avanti quando il Cristianesimo venne diffuso l’idea del matrimonio a fini procreativi fece in modo che eliminasse anche solo il pensiero che ci potesse essere una qualsiasi forma di omosessualità.
 
La nuova Europa dominata dal Cristianesimo e del Medioevo si presenta meno aperta dell’età precedente. In questo periodo troviamo dei tentativi quasi disperati di contrare matrimonio da parte di persone dello stesso sesso. Un caso comune è quello di passing women : donne travestite da uomo in modo che contrassero matrimonio con altre donne.
 
Inoltre anche una chanson de geste “Huon de Bordeaux” descrive la storia di Ide la quale si veste da uomo guerriero per poi chiedere la mano della figlia dell’imperatore. Storia finita male poiché dopo viene scoperta e condannata al rogo per sodomia.
 
Infine secondo John  Boswell  basandosi su un dipinto del settimo secolo ha interpretato che i santi Sergio e Bacco fossero un esempio di unione omosessuale del primo Cristianesimo, aggiungendo egli mette in evidenza la figura, di piccola dimensione, di Gesù sopra in alto come il vero e proprio testimone di nozze sostenendo che questo dipinto è l’inizio di una certa tolleranza del Cristianesimo verso l’omosessualità.
 
Ma non è solo l’età classica o quella del Medioevo  a presentare  tendenze omosessuali. Anche il “nuovo mondo” che arrivò con la scoperta dell’America portò con sé l’ammissione di matrimoni tra individui dello stesso sesso.  Ma nemmeno il nuovo mondo diede loro la possibilità di amarsi e farsi vedere alla luce del sole, incominciando così una lotta sanguinosa contro tali tendenze senza fermarsi ad alcuna violenza per ottenere l’eliminazione delle loro usanze.
 
Più avanti quasi alla fine del XVIII secolo in Inghilterra si erano formate le Molly houses: luoghi di incontro per omosessuali in cui si celebravano anche matrimoni. Le molly houses venivano descritte come delle stanze dette “cappelle” dove due uomini potevano sposarsi ma questo molto spesso intendeva semplicemente l’atto del sesso insieme. A volte questo avveniva all’interno di una sala ampia contenente non solo i due amanti ma anche la presenza di alcuni avventori.
 
In questo stesso periodo anche dall’Africa si vedono arrivare tracce e usanze piuttosto diffuse anche in Europa : quello del matrimonio tra donne. Secondo alcune testimonianze però non si trattava di veri e propri matrimoni ma una specie di trasmissione dei beni di una donna ad un’altra donna che non poteva avere figli.
 
 
Chiesa Cattolica contro l’omosessualità.
 
Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica è sempre stata negativa di fronte a tali tendenze “non normali” ed ancora oggi continua ad opporsi non solo al matrimonio ma addirittura a qualsiasi cosa riguardante questo tipo di rapporto. Ovviamente la religione cattolica è contro il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali così come le adozioni. Motivo di questo grave rifiuto sono, secondo alcune testimonianze e secondo le tradizioni della chiesa in generale, il fatto che il matrimonio tra due persone dello stesso sesso costituisce un peccato poiché loro scopo non è il riprodursi che costituisce il motivo principale del matrimonio vero e proprio. Il riconoscimento civile del matrimonio etero è giustificato poiché esso dà un significato alla società dando molti privilegi alla famiglia in generale, cosa che non giustifica in pieno il matrimonio omosessuale non potendo avere figli.
 
Ma nonostante tutto ciò molti parrochi e molti religiosi hanno avuto un’opinione diversa dalla chiesa cercando di dare una mano nel sollevare i loro diritti, rischiando anche la loro propria dimissione. Un esempio noto è quello di Marco Bisceglia: fondatore di Arcigay ed ex parroco, il quale già nel 1975 univa coppie omosessuali in matrimonio. Cosa che una volta sparsa la voce e resa pubblica portò alla sua sospensione dalla chiesa ed i suoi compiti religiosi.
 
Per chiudere anche Franco Barbero fu dimesso dallo stato clericale con l’accusa di celebrare matrimoni gay con rito religioso ma senza effetti civili.
 
Ad essere pienamente d’accordo con la chiesa cattolica è anche un'altra religione dal nome Islam : fortemente contraria non solo per quanto riguarda il matrimonio ma anche solo i rapporti tra persone dello stesso genere. Per questo motivo i matrimoni non sono riconosciuti in nessuno degli stati al mondo a maggioranza musulmana. 
 
 
 
Tutto questo in contrasto alla Metropolitan Community Church il quale è decisamente impegnata nella difesa totale dei diritti gay, lesbiche, bisessuali e transgender.
 
Il fondatore di nome Troy Perry celebrò il primo vero e proprio matrimonio omossessuale nel 1969 in California. Più avanti egli stabilì un riconoscimento legale per il matrimonio gay il quale però fu destinato a non essere accettato e quindi non valido del tutto. Troy non si lasciò travolgere dalle leggi e dalle opinioni negative verso le comunità  omosessuali e dopo aver lottato contro lo stato e non solo,  alla fine riuscì  ad ottenere il diritto civile di tali nozze. Oggi le congregazioni della sua comunità celebrano oltre seimila matrimoni omosessuali all’anno.
 
Adozioni omosessuali
 
Due persone dello stesso sesso sposati possono adottare bambini formando così una vera e propria famiglia, questo succede soltanto nel Regno Unito, Spagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi, Islanda, Israele e Francia.
 
In Italia l’adozione non fa parte di questa cultura omosessuale, che la copia sia sposata o meno è assolutamente vietato adottare se la famiglia non è formata da due genitori di sesso opposto.
 
Secondo alcuni oppositori della chiesa inserire dei bambini all’interno di una famiglia omosessuale significherebbe fare loro violenza, approfittarsi della loro giovinezza e quindi stato di debolezza per inserirli in un ambiente “anormale”. Inoltre l’atto dell’adozione porterebbe portare anche in una possibile conversione del loro sesso quando essi arriverebbero alla maggiore età  diffondendo sempre di più questo tipo di rapporto tra il genere umano.
 
“L’omosessuale faccia l’omosessuale, non è adatto ad accudire un figlio, non può andare contro natura. Mi auguro che in Italia non venga mai approvata una legge che permetta l’adozione alle coppie omosessuali. Al bambino per vivere, oltre a una salute fisica, occorre la salute psicologica, mentale, scolastica. Tutte linee di salute che sono importanti e che ce le dobbiamo conquistare, siamo noi responsabili. Crescere con una coppia omosessuale potrebbe andare bene in una, ma le altre 99 volte non succede” : A dichiararlo Giuseppe di Mauro, presidente della SIPPS ( Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale).
 
In conclusione, alcuni favorevoli all’adozione ritengono che gli argomenti degli oppositori non sono supportati da prove scientifiche e che non sono altro che pregiudizi carichi di idee ed opinioni personali.  Gli studi di alcuni associazioni americani ed australiani , come American Psychological Association e American Academy of Pediatrics,  si basano sul fatto che non sussistono differenze negli effetti della omogenitorialità  rispetto alla genitorialità etero sul benessere mentale di un bambino.
 
“Io sono favorevole al matrimonio tra omosessuali e anche all’adozione tra gay. Ma avete idea di quanti orfani abbandonati ci sono? Meglio dare un bimbo a una famiglia con due papa’ o due mamme piuttosto che lasciarlo in condizioni di miseria e abbandono. Su questo tema gli elettori del Pdl sono certamente piu’ avanti di molti leader, compreso il segretario. Sono sicuro che la maggioranza la pensa come me” : un commento di Giancarlo Galan del PDL , ex ministro dei beni culturali.

 

lunedì 29 aprile 2013

Arte, i Diavoli della Zisa

di Claudia Pellegrini


ARTE, DIAVOLI ZISA - Nel 1165 a Palermo, poco fuori dalle mura cittadine, si iniziarono i lavori di un palazzo voluto da Guglielmo I. L’edificio in questione, chiaro esempio di architettura araba in epoca normanna, venne chiamato Palazzo della Zisa, dall’arabo al-Azīza, cioè “la splendida”. Sorgeva nel parco normanno del “Genoardo”, o paradiso in terra, riserva di caccia reale, con l’intento di diventare la residenza estiva dei re.
Il suo architetto, di cultura islamica, era un profondo conoscitore di metodi per rendere più confortevole il palazzo durante i mesi estivi, infatti aveva progettato un particolare sistema di ventilazione che prevedeva la continua circolazione dell’aria fresca mediante fori sul pavimento di ogni piano, ed un sistema di canne poste nelle torri laterali.
Gli appartamenti ai primi due piani vennero usati come residenza privata dalla famiglia reale, mentre il piano terra accoglieva tutte le manifestazioni di corte. I suoi proprietari si erano fregiati per anni del titolo di “Principi della Zisa”, creato appositamente dai re di Spagna.
Nei secoli questo splendido palazzo subì numerose trasformazioni. Nel 1300 fu apportata una merlatura, distruggendo parte di un’iscrizione araba a caratteri cufici, che coronava l’edificio. Nel 1600 le modifiche furono particolarmente radicali, la Zisa era in pessime condizioni, e quando venne rilevata da Don Giovanni di Sandoval, a cui fa riferimento lo stemma marmoreo con due leoni posto all’ingresso, il nuovo proprietario, per esigenze abitative, realizzò nuovi ambienti, quali diversi volumi sul tetto, un grande scalone ed i vani delle finestre. Nel 1808, quando morì l’ultimo dei Sandoval, il palazzo passò ai Notarbartolo, principi di Sciarra, che lo utilizzarono come residenza fino agli anni 50 del 1900, quando la Regione Sicilia lo espropriò.
Negli anni 70 del 900 iniziò il restauro in seguito al crollo di un’itera area, i lavori si protrassero fino agli anni 90, ed oggi, il palazzo è meta di turisti e curiosi che restano affascinati non solo dalla solida architettura normanna, ma anche dalla bellezza degli interni, in cui si mescolano culture diverse, a testimonianza di un’epoca piena di fascino, dalle fontane e dalle peschiere che si trovano nell’ingresso principale, ma anche dai rigogliosi giardini circostanti. Nelle sale sono esposti molti manufatti islamici provenienti da vari paesi del bacino Mediterraneo, tra questi le bellissime musciarabia, cioè dei paraventi lignei a grata, utensili di uso comune e da arredo.
Ma c’è qualcosa che attira particolarmente chi visita il palazzo, un affresco dipinto sull’arco di ingresso della Sala della Fontana raffigurante gli dei dell’Olimpo messi in circolo, tra cui spicca Giove al centro, figure che la tradizione popolare ha soprannominato Diavoli. La leggenda dice che siano i custodi di un grande tesoro in monete d’oro, nascosto all’interno dell’edificio, e che impediscano a chiunque di venirne in possesso con uno stratagemma: se si guarda dal basso queste figure è impossibile riuscire a contarne il numero esatto, poiché inducono l’osservatore a girare su se stesso, facendogli perdere il conto e illudendolo che a spostarsi siano loro stesse.
L’illusione è dovuta al fatto che alcune delle figure sono molto piccole e altre non sono integre, di conseguenza, c’è chi le conte e chi no; eppure nei secoli questa comune illusione ottica è diventata una credenza popolare, facendo divenire delle innocue raffigurazioni mitologiche delle figure diaboliche.
Inoltre, le correnti provocate dal particolare impianto d’aria arabo-normanno, e dalla disposizione delle aperture del palazzo, hanno contribuito alla leggenda che siano generate da quelle figure mitologiche, come se fossero dei folletti del vento. Questo ha influenzato anche il modo di parlare degli abitanti di Palermo, i quali, in caso di vento particolarmente intenso, sono soliti dire: “Oggi si sono liberati i diavoli della Zisa”. E non solo, esiste anche un altro detto popolare: “E chisu, li diavoli di la Zisa?”(E cosa sono? I diavoli della Zisa?); in questo caso viene usata l’espressione in una situazione in cui non tornano i conti, proprio come quando si tenta di contare le figure sull’arco.  Per curiosità e approfondimenti sul Palazzo della Zisa i Diavoli e la leggenda si può sempre consultare l’interessante volume di Luca Filippi, I Diavoli della Zisa, Leone Editore.

domenica 28 aprile 2013

Arte, i cubisti al Vittoriano a Roma


di Michela Gabrielli

ARTE, CUBISTI VITTORIANO - Fino al 23 giugno a Roma, al Complesso del Vittoriano si ospita la Mostra sul Cubismo  e i nomi degli innumerevoli Cubisti che hanno visto capitanare quasi tutto l’inizio del Novecento soprattutto in Europa.  Proprio dalla Mostra si evince che chi per primo abbia detto: Cubismo fu probabilmente Apollinaire; certo è che fu lui a scrivere sui Cubisti il primo opuscolo illustrandolo coi loro quadri. La rassegna si apre con una Natura Morta di Diego Rivera, del 1915, dove le forme sono spezzate e i piani sovrapposti; questa l’intenzione del pittore messicano. Segue, tra gli altri quadri, la Composizione II di Pablo Picasso, del 1919-1922, dove nell’arte sono messi in gioco la forma, gli oggetti, le persone, e le figure si spezzano e, come si è testè accennato, si sovrappongono.  Proseguendo nel cammino troviamo Max Weber, in una New York in cui, vengono definiti in linea retta e curvilineamente gli edifici della città.  Si può affermare che sia Derain che Braque divennero scolari di Picasso, circa sei mesi dopo che Picasso conobbe Matisse. E in questo frattempo quest’ultimo rivelò a Picasso la scultura negra, da cui attinse il Movimento. Se davvero sia stato Matisse a coinvolgere l’amico nell’interesse per L’Art nègre è argomento controverso ma fondamentalmente irrilevante. Ciò che importa è che quei modelli si innestano sulle sue riflessioni a proposito della sintesi geometrica e dell’arte spagnola primitiva e sul rapporto non prospettico tra figura e spazio definito sempre da intarsi geometrici.
Nel novembre 1908 Braque  espone in una galleria parigina. E fu lui stesso a definire così il loro rapporto con la nuova arte: “Noi andiamo verso l’oggetto”. E fu lo stesso Apollinaire a definire così il legame col Cubismo di Braque, affermando cioè che: “Egli è divenuto creatore attingendo dal suo intimo gli elementi dei motivi sintetici che rappresenta. Non è più debitore in nulla di ciò che l’attornia. Il suo spirito ha volontariamente provocato il crepuscolo della realtà  ed ecco che una rinascita universale viene elaborandosi plasticamente in lui e fuori di lui.”.  I grandi nudi e soprattutto i paesaggi dell’Estaque, dipinti tra il 1907-1908 sono semplificazioni geometriche affidate tanto al modello cèzanniano quanto alla lezione recente di Picasso. Le geometrie semplici e deformanti rispetto alla realtà visibile , le tacche di materia pittorica intense, la riduzione dello spettro cromatico a pochi toni severi tutto indica che un nuovo modo di concepirre la pittura sta incubando, molti si trovarono a dichiarare. È così che soggetti ricorrenti, addirittura strumenti musicali e quelli di tutti i giorni, come: giornali, bicchieri, tazze, ecc…riempiono lo spazio  “nuovo” , trattato in ampie zone con tecniche diverse.
Piccole macchie, trattini, sfumature del chiaro e dello scuro si intersecano a formare una nuova dimensione pittorica e poi anche scultorea. Lo vediamo nel Volto allungato di Severini, ad esempio. Nella Mostra si incontrano anche opere di Legèr che aderisce al Cubismo dopo Picasso e Braque, nel 1910; inizialmente le sue opere sono ben definite, ma poi si fanno più complesse rispetto anche agli altri due autori.  Fu Louis Vauxcelles a coniare il termine nella Mostra in “Gil Bas” “Braque – egli scrive – riduce tutto, luoghi, figure e case a schemi geometrici, a cubi”. Testimonierà lo stesso Braque: “Ciò che mi ha molto attratto è stata la materializzazione di questa nuova spazialità che sentivo . Per ciò che riguarda il colore non era che il  suo valore in quanto luce a preoccuparci. Luce e spazio sono le due cose che si toccano. La frammentazione mi è servita a stabilire l’estensione delle superfici e il loro movimento. I Fauves erano la luce, il Cubismo è lo Spazio.” Da quel momento il passaggio a forme di rappresentazione che riducono la visione a una architettura serrata di piani che si intersecano e che vogliono significare la totalità della presenza delle cose, sono nella dimensione dello spazio e in quella del tempo.
Dal canto loro, isolati, labert Gleizes e Jean Metzinger  iniziano una serie di esperienze e riflessioni teoriche che nel 1912 confluiranno nel saggio: De Cubisme, scrivendo: “Il Cubismo, in effetti, oltrepassa l’oggetto esteriore per avvilupparlo e impadronirsene meglio. Guardare il modello non basta più, è necessario che il pittore se lo rappresenti. Egli lo trasporta in uno spazio spirituale e plastico insieme, a proposito del quale non è per nulla fuori luogo parlare di quarta dimensione.” Dal canto suo spiegherà, anni dopo, Kahnweiler, il gallerista del gruppo: “ È necessario non dimenticare un fatto fondamentale: la pittura è una forma di scrittura; è una scrittura creatrice di segni. Una figura di donna su una tela non è una donna: sono solo segni, e un insieme di segni che io leggo come donna. L’iniziativa di costituire un vero e proprio Movimeto è assunta invece dagli artisti della Ruche ai quali si aggiunge un’ulteriore aggregazione che si forma intorno ai fratelli Duchamp e Villon.  Oltre ai Duchamp, al gruppo appartengono: Robert Delaunay, Albert Gleizes, Frantisek, Kupka, F. Lèger e J. Metzinger.
Sono i Cubisti de la Ruche e di Puteaux a farsi movimento e ad assumersi il compito di polemizzare con l’aggressività dei futuristi Italiani. Solo Delaunay, temendo, come Picasso e Braque di essere confuso con i compagni di via, non espone: tuttavia il suo lavoro sul dinamismo cromatico e sulla percezione simultanea delle forme colorate, il più direttamente implicato con le ricerche futuriste, è in questo momento, una via alla quale molti stanno guardando. Pablo Picasso sostenne che: “quando inventammo il Cubismo, lo facemmo senza intenzione; volemmo soltanto esprimere quello che avevamo dentro.” Durante la Mostra sono davanti ai nostri occhi opere come: Bicchiere di Assenzio di Braque, o Nudo (1909) di Picasso, o ancora: Il Violinista (1912) di Braque, così come opere di Hartley, Weber,  Feininger, Villon e Marchand.  E notiamo che il Cubismo lasciò impronte sul Vorticismo in Inghilterra, il Costruttivismo in Russia, Il Neoplasticismo nei Paesi Bassi e l’Espressionismo Astratto negli Stati Uniti, con il Tachisme in Europa.
Assistiamo anche al Design del Bloomsbury Group che nasce  sotto un intenso gruppo di artisti, poeti, critici e scrittori che abitano nello stesso quartiere londinese e vivono secondo principi opposti alla cultura Vittoriana.  Sono dette in Europa: Arti decorative in contrasto con le arti pure e alte. La guerra del 1914 scompagina il panorama della pittura parigina: Braque, Lèger, Gleizes, Metzinger e villon partono per il fronte; Duchamp e Picabia si spostano negli USA, Picasso si isola in una ricerca che lo porterà, nel 1917, a un classicismo rinnovato e all’avvio di quello che J. Cocteau chiamerà: “rappel a l’ordre”. La lezione cubista germina in territori espressivi diversi. Le Corbusier nel 1918, teorizzerà assieme ad altri: “ Nonostante le loro teorie i Cubisti hanno semplicemente dipinto quadri come tappeti, con elementi tratti dalla natura e dissociati. Questa è una cosa che si è sempre fatta. L’uso di elementi dissociati, persino della figura umana, utilizzati per le loro qualità plastiche, formali, coloristiche o lineari non è nuovo, i micenei, gli orientali e i neri se ne sono sempre serviti in questo senso.  Il Cubismo non ha fatto altro che rimettere in auge nella pittura un antichissimo sistema, il più antico di tutti, l’estetica ornamentale.
E di estetica in tal senso si parla anche nell’Arte Simultanea fondata sui colori e sul Movimento che tale idea scaturisce dalla musica di Poulenc e Strawinskj, così come dalla creazione di tessuti ed abiti, oltre alla pittura. Robert e Sonia Delaunay sottolineano e creano un abbinamento di colori e materiali inconsueti negli abiti. Questi lavori riemergono anche nei loro “Libri Neri”  in cui sono presenti annotazioni di tessuti e lavorazioni  particolarmente colorate , ricordate con precisione e rigore. Nel 1925 , nasce la loro Boutique Simultaneè sul ponte Alexandre III che è un’attrattiva dell’Exposition Internationale des Artes decoratives. Vi sono: cappotti, giacche, sciarpe e scarpe, borse che vengono apprezzate e richieste dal milieu intellettuale parigino. Tutto questo è stato ed è ancora il Cubismo, ma, molto di più di quell’”accozzaglia” di colori e movimenti su carta che parrebbe stimolare l’occhio, e questa mostra ci rivela quanto abbia appreso dalle correnti tutte, proprio come il Futurismo in Letteratura, quest’arte che ha fagocitato una piccolissima parte del Novecento.



sabato 27 aprile 2013

Arte, Il Principe ed il suo tempo. Niccolò Machiavelli in mostra a Roma

di Claudia Pellegrini
CULTURA, NICCOLÓ MACHIAVELLI IN MOSTRA A ROMA- Il DePrincipatibus, ovvero il Principe,di Niccolò Machiavelli, compie 500anni. Indubbiamente sitratta di un libro che ha segnato la storia del mondo occidentale da quando ilsuo autore, in una lettera del 1513, annunciava di averlo scritto. Oggiricordiamo quest’opera della letteratura italiana, la più diffusa al mondo pernumero di edizioni e lingue in cui è stata tradotta, con una mostra al Vittoriano, con apertura al pubblicodal 25/04 al 16/06, curata da Marco Pizzo, direttore del Museo delRisorgimento, e dal professor Alessandro Campi, noto collezionista, e promossada Enciclopedia Treccani e Aspen Italia.
L’esposizione sipromette di raccontare al pubblico l’origine e la fortuna, ma soprattutto ilsignificato di un’opera che da sempre è stata oggetto di controversie edinterpretazioni contrastanti, ma anche di capire quale fascino abbiano ilPrincipe ed il suo autore dopo ben 500 anni di storia, ed eventualmente tentaredi dislocarlo da quella sintesi troppo spicciola che vuole Machiavelli, la suaopera ed il suo pensiero legati alla frase “Il fine giustifica i mezzi”,elegante giustificazione dell’amoralità politica. In realtà il grande letteratovuole, con il suo scritto, invitare chi legge a meditare sulla storia, poiché glierrori, ma anche i successi del passato, mostrano chiaramente la via da seguire,ed in nome del più alto principio dello stato, è possibile anche perdere divista alcuni principi etici; egli esorta i governanti del tempo a riconquistarela perduta sovranità e lottare affinché lo straniero sia cacciato dall’Italia.
La figurapragmatica del Machiavelli, grazie al fascino senza tempo che emana ancoraoggi, viene spesso usata anche come protagonista di libri gialli, come ne “Lacongiura di Machiavelli” di Michael Ennis, oppure “La città del sole nero” diLeonardo Gori.
Tornando allamostra, è possibile visionare i primi codici manoscritti e le prime stampe delPrincipe, molti documenti inediti, tra cui spicca il Verbale, ossia il documento con il quale la Congregazionedell’Indice condannava alla censura le opere di Machiavelli nel 1559, opered’arte, tra cui il Girolamo Savonarola dal Museo Civico di Como, ricostruzionied oggettistica del tempo. Di particolare prestigio è anche la sala cheraccoglie le innumerevoli traduzioni dell’opera, e le vetrine che espongono lenote a margine scritte da molti protagonisti della storia occidentale, a chiaroesempio di come il filosofo rinascimentale abbia sempre affascinato gli uominidi potere e gli intellettuali, tra i quali ricordiamo Cavour, Gramsci,Mussolini, Bettino Craxi, nonché Silvio Berlusconi.
Il percorso sichiude con “usi e abusi” fatti nel corso dei secoli nel nome del Principe:banconote, giochi di strategia, fumetti, videogiochi e tessere telefoniche.

venerdì 26 aprile 2013

Arte, Füssli tra mostri ed incubi

di Claudia Pellegrini

ARTE, FÜSSLI TRA MOSTRI ED INCUBI - Johann Heinrich Füssli è un artista svizzero, autodidatta, grande intellettuale, appassionato di arte, antichità, teatro e letteratura. I suoi dipinti prediligono i soggetti fantastici tratte dalle leggende, oppure gli eroi delle opere shakespeariane, di Milton e Dante, ma anche caricature del suo tempo. Le tematiche affrontate spaziano dalla follia all’inconscio, dal sogno alla superstizione. Fate, elfi, folletti, nani, spettri, streghe, sono tutte figure simboliche, il loro abbigliamento alla moda è un chiaro segno di critica rivolta alla società del tempo. 
Non bisogna dimenticare che intorno agli anni 80 del 700, sia nell’alta società che negli ambienti intellettuali prendeva piega una certa tendenza all’esoterismo, nonché alle pratiche occulte; Füssli, che disprezza queste manifestazioni superstiziose, le rappresenta come degli specchi che riflettono l’immagine di questi adepti, con i loro stessi vestiti, le loro acconciature, i loro gesti affettati. Ma nei suoi dipinti non c’è solo satira, i suoi mostri spesso rappresentano anche le forze oscure dell’animo umano, quelle che abitano nel luogo più buio dell’uomo. Tutto questo anticipa il Surrealismo, ma anche le tematiche dell’inconscio che verranno introdotte dalla psicanalisi nel 900.
L’opera che lo ha reso celebre, la più nota ed inquietante, è senza dubbio l’Incubo. La scena descritta è ambientata in una stanza da letto, buia e poco definita; su di un letto giace una donna rovesciata in una posa innaturale, con un’espressione di sofferenza sul viso. Sul suo stomaco c’è un mostriciattolo, la personificazione di un incubo. In secondo piano, da una tenda aperta come un sipario, si va avanti una cavalla portatrice di incubi (night=notte e mare=cavallina). Il tutto è reso ancora più inquietante dal colore scuro, le tinte contrastanti, la luce che colpisce esclusivamente la figura della donna, lasciando al buio tutto il resto. Elementi di stile Neoclassico e Romantico si fondono insieme, rendendo manifesto un certo conflitto che il pittore sfrutta a suo vantaggio.
Guardare un quadro del genere è come compiere un viaggio nelle regioni più remote del sogno e del mistero, e, una volta arrivati a destinazione, incontrare quelle figure mostruose che incarnano le nostre paure inconsce. Si può tranquillamente affermare che Füssli, insieme al contemporaneo Goya, anticipa di un secolo il cinema dell’orrore, che non di rado si è ispirato alle sue opere.

Storia, ma perché proprio il 25 aprile?

di Serena Sgroi

STORIA, 25 APRILE - Una data scelta per convenzione che però rappresenta una svolta storica fondamentale per l'intero Paese. Il 25 aprile 1945 si proclamata ufficialmente la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti mettendo fine a un ventennio di dittatura; da lì a qualche giorno tutta l'Italia, prima Milano e Torino e poi tutto il settentrione, furono "liberati" dal Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia (CLNAI). Da quel giorno ogni anno si celebra l'anniversario della Resistenza, o festa della Liberazione. Quello che spesso i testi scolastici non riportano è che ci vollero mesi di trattative politiche e di preparazione strategica per gli oltre 300 mila (tra uomini e donne) partigiani "armati" con l'impegno dei quali, nonostante la guerra fosse già finita, grazie anche all'arrivo degli alleati americani, i fascisti furono definitivamente sconfitti. Il 25 aprile, il simbolo della Liberazione, quello che noi oggi celebriamo come giorno di Festa nazionale, rappresenta il ricordo del più ampio fenomeno europeo della resistenza all'occupazione nazifascista: una guerra patriottica, una vera e propria guerra civile, oltre che di classe che, dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, portó a un lento e graduale processo di cambiamento di cui furono espressione lampante la decisione di indire il referendum del 2 giugno 1946 e la successiva stesura della Costituzione. 

mercoledì 24 aprile 2013

Arte, Guido Reni VS Cardinal Giovanni Battista Pamphilj

di Claudia Pellegrini

ARTE, GUIDO RENI CARDINAL GIOVANNI BATTISTA PAMPHILJ - Come è noto Guido Reni, insieme ad altri artisti del calibro di Bernini o Borromini, fu uno dei maggiori rappresentanti dell’arte del XVII secolo. Era originario di Bologna e, come tanti altri, era giunto a Roma per completare il suo percorso di formazione artistica, attratto dalle possibilità lavorative che offriva la città dei papi, all’epoca capitale dell’arte.
Viene ricordato non solo per le sue qualità pittoriche, ma anche per il carattere stravagante. Di lui, infatti, sappiamo che era un uomo attraente, piuttosto ricco, aveva l’abitudine di vestirsi sempre in modo elegante, ma soffriva di manie persecutorie, in particolar modo viveva nel terrore di essere avvelenato, per questo motivo era solito frequentare maghi e stregoni.
Nel periodo in cui Reni era attivo a Roma, due famiglie si contendevano il potere, i Barberini ed i Pamphilj, e le relazioni tra di loro, per ovvie ragioni, era tutt’altro che amichevoli. Il Cardinal Antonio Barberini, fratello dell’allora papa Urbano VIII, appartenente all’ordine dei Cappuccini, finanziò la costruzione di una chiesa, Santa Maria della Concezione, e, per una delle cappelle, commissionò a Guido Reni di dipingere un quadro che raffigurasse l’Arcangelo Michele.
A questo punto è opportuno precisare che questa chiesa, al di là dello splendido dipinto di Reni, viene soprattutto ricordata per il vecchio cimitero sito al di sotto dell’edificio, una cripta fatta da uno stretto corridoio che collega diverse cappelle. Le pareti e la volta delle suddette cappelle sono ricoperte da ricche decorazioni. Ma come sono fatte queste decorazioni? Stucchi? Marmi? Niente di tutto questo, semplicemente vennero utilizzati teschi, femori, denti, tutti appartenuti agli scheletri dei defunti frati cappuccini. Decisamente un bel risparmio di materiali costosi, ma piuttosto macabro e sconsigliato agli impressionabili. Per il tempo una decorazione del genere non era inusuale; per gli appartenenti all’ordine era addirittura un onore contribuire a queste “simpatiche” composizioni con i propri resti. Indubbiamente è una tappa imperdibile per gli amanti dell’orrido, che troveranno di loro gradimento anche gli scheletri interi vestiti con i saio dei Cappuccini, nonché il motto del cimitero: “ noi eravamo quello che voi siete, e quello che noi siamo voi sarete”.
Ma torniamo a Guido Reni. Secondo una leggenda, che a quanto pare contiene più di un briciolo di verità, al nostro artista era giunta voce che il Cardinal Giovanni Battista Pamphilj, rappresentante della famiglia omonima, dunque anche rivale del committente del quadro, avesse offeso la sua reputazione con una serie di diffamazioni, di cui purtroppo non se ne conoscono i particolari. Reni, permaloso com’era, decise di approfittare dell’Arcangelo Michele per vendicarsi del torto subito, compiacendo anche il Cardinal Antonio Barberini.
Dai ritratti che abbiamo di Giovanni Battista Pamphilj, possiamo notare che aveva un volto lungo ed affilato, era stempiato, con la barba rada ed aveva uno sguardo piuttosto malvagio ed inquietante. A Guido Reni queste sembianze sembrarono più che perfette per raffigurare Satana. Infatti nel dipinto i soggetti sono due, l’Arcangelo Michele che schiaccia con un piede la faccia di Satana, ovvero la faccia del Pamphilj.
Antonio Barberini di certo deve essere stato soddisfatto di vedere il viso del rivale schiacciato da un piede angelico, ma il Pamphilj, come c’era da aspettarsi, prese il tutto come un oltraggio. Guido Reni, fedele alla sua stravaganza, aggirò la questione dicendo che Satana gli era apparso in una visione, e se disgraziatamente il buon Cardinale era così sfortunato da somigliargli, che colpa poteva mai averne un povero pittore?
Davanti ad un’affermazione del genere Giovanni Battista Pamphilj dovette rassegnarsi, suo malgrado, ad apparire sotto le sembianze di Satana. La faccenda divenne ancora più imbarazzante quando qualche anno dopo, precisamente nel 1644, il novello Satana fu eletto papa col nome di Innocenzo X. E la vendetta continua ancora, dato che, nonostante il passare dei secoli, il quadro è ancora al suo posto. Morale della favola: mai inimicarsi un pittore!

Cultura, la biblioteca del Parco del Cilento: la prima in Italia


di Serena Sgroi

ARTE, BIBLIOTECA PARCO DEL CILENTO - L’area naturale protetta del Parco Nazionale del Cilento abbraccia una superficie che supera i 181 mila ettari e comprende i territori di otto Comunità montane e di ottanta Comuni salernitani. Fu istituita nel 1991, è divenuta Patrimonio Unesco dell’ Umanità nel 1998 quando era già Riserva della Biosfera (1997) e nel 2010 è stata il primo esempio di Geoparco in Italia. L’intera superficie, gestita dall’Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni aggiunge oggi un altro primato al suo già fiorente curriculum: sarà infatti il primo Parco Nazionale in Italia a dotarsi di una biblioteca. L’inaugurazione de “La biblioteca del Parco” è prevista per metà giugno. Intanto, prendono il via i lavori di catalogazione e messa in rete di oltre 20 mila volumi. Saranno raccolti e inventariati in un’unica collezione, seguendo le linee guida del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN),  i testi presenti a Palazzo de Vargas a Vatolla, quelli antichi e preziosi di filosofia vichiana e non solo appartenenti alla Fondazione “Gianbattista Vico” e quelli del Parco, inerenti tematiche ambientali. Il progetto si pone dunque al centro di un meccanismo di valorizzazione territoriale che ha come obiettivo la realizzazione di un ricco archivio in grado di fondere la tradizione storica e la cultura ambientalistica che nel corso degli anni si è radicata nella vasta circoscrizione, il tutto in perfetta sintonia con il “trend 2.0”. L’iniziativa, unica nel suo genere è stata promossa dall’Ente Parco e finanziata in gran parte (200 mila euro su un totale di 250) con fondi POR Campania FESR 2007/2013. Sono già in programma due convegni di presentazione dell’idea nata dalla collaborazione tra l’Ente Parco e la Fondazione “Giambattista Vico”: il primo si terrà presso la sede del Parco del Cilento (Vallo della Lucania), il secondo presso la Camera dei Deputati (Roma). 

martedì 23 aprile 2013

Arte, Caravaggio a Roma in 10 tappe - parte terza

di Claudia Pellegrini

 ARTE, CARAVAGGIO A ROMA IN 10 TAPPE - Ci accingiamo a percorrere le ultime tappe del nostro viaggio caravaggesco a Roma visitando virtualmente tre chiese.

8) SAN LUIGI DEI FRANCESI  È la chiesa nazionale dei francesi a Roma. I suoi lavori iniziarono nel 1518 e terminarono nel 1589 su un progetto di Giacomo della Porta. La maggior parte dei fondi messi a disposizione per la costruzione provenivano dalla celebre regina Caterina dei Medici. La celebrità della chiesa è dovuta alle tre operedi Caravaggio che custodisce: la Vocazionedi San Matteo, il Martirio di SanMatteo e San Matteo e l’angelo. I tre grandi dipinti furono commissionati dal cardinale Mathieu Cointrel e collocati nella cappella Contarelli tra il 1597 e il 1603. La Vocazione riscrive completamente le tradizionali regole dell’iconografia sacra, proponendo un punto di vista nuovo e soprattutto impensabile. La prima spregiudicatezza sta nella rappresentazione di una scena di gioco d’azzardo inadatta ad una chiesa. San Matteo era un agente di cambio,Caravaggio lo dipinge seduto a giocare in una bettola, dunque un uomo che conduce una vita dissoluta, fin quando non giunge la vocazione, resa da un raggio di luce che proviene dal dito di Cristo e colpisce Matteo in viso,interrompendo bruscamente il gioco. La scena è talmente realistica da sembrare quasi un’istantanea o un’inquadratura cinematografica. Nel Martirio è la violenza a farla da padrone; i personaggi fuggono da ogni lato in preda all’orrore, come se fossero gli spettatori di un fatto di cronaca, di uno dei tanti omicidi del tempo. Matteo non è realizzato come un eroe del martirio, ma come una vittima, un vecchio che viene aggredito da un assassino, l’uomo seminudo che in realtà è il protagonista della tela poiché fa concentrare su di se tutta l’attenzione di chi guarda. Dietro l’assassino, sulla sinistra, si nota un personaggio che si volta mentre fugge con un’espressione atterrita, si tratta di Caravaggio, è il suo autoritratto. L’ultima tela, San Matteo e l’angelo, è in realtà la seconda versione del soggetto. La prima venne rifiutata poiché ritraeva un Matteo sporco e vestito di stracci. La seconda versione, quella che tutti possiamo ammirare (la prima purtroppo è andata perduta a Berlino durante gli eventi bellici del 1945), con un Matteo vestito più dignitosamente, lo ritrae con una penna tra le mani, mentre guarda l’angelo che gli detta cosa scrivere.Sicuramente una versione più dignitosa e affine all’idea cristiana dell’ispirazione divina.

9) SANTA MARIA DEL POPOLO  Nella Chiesa sita in Piazza del Popolo èpossibile ammirare la seconda versione della Conversione di San Paolo (la prima, rifiutata, come già detto, sitrova nella collezione privata Odescalchi) e la Crocifissione di San Pietro. La prima tela ritrae Paolo caduto dacavallo che, con una luce accecante negli occhi (sembrano quelli dei bustiromani: con le pupille cieche), evita per intercessione divina di essereschiacciato dallo zoccolo del cavallo. Il particolare che salta meglioall’occhio è il cavallo; infatti l’animale occupa una parte rilevante neldipinto, perfettamente in linea con la pittura innovativa dell’artista.Guardando la Crocifissione si ha l’impressione che l’immagine, e quindil’azione, sia compressa in un angolo molto ristretto che non riesce a conteneretutto. Tre operai di cui non vediamo il volto, probabilmente per accentuarne lamancanza di pietà, si apprestano a crocifiggere Pietro, il quale, chiese, peressere inferiore a Gesù, di essere crocifisso a testa in giù. L’apostolo è resoda Caravaggio molto realisticamente, infatti ha il volto di un vecchio che nonnasconde il dolore così come fosse una persona qualunque.

10) BASILICA DI SANT’AGOSTINO È qui custodita la Madonna dei Pellegrini, commissionata a Caravaggio agli inizi del 1600 da un notaio bolognese, Cavalletti, per essere collocata nella cappella romana di famiglia.Il soggetto doveva essere un semplice quadro mariano raffigurante la Madonna di Loreto, ma l’artista presenta al committente una Vergine insolita. In primis non è assisa in trono, come tutte le raffigurazioni del tempo, ma è in piedi sulla soglia di casa, e ai suoi piedi si inginocchiano due penitenti, un uomo e una donna. Ancora una volta il realismo del Merisi è presente nei particolari dei due penitenti: l’uomo infatti, vestito poveramente, ha i piedi nudi e sporchi, così come li avrebbe chiunque che, nella realtà, camminasse senza scarpe; la donna, anch’essa vestita di stracci, ha in testa una cuffietta sudicia, a testimoniarne la povertà. Dunque la Vergine non è accerchiata da santi o da cori di angeli, ma scende in strada in mezzo ai poveri, agli ultimi.

Arte, istantanea da un mat​rimonio: Ritratto de​i coniugi Arnolfini​

di Claudia Pellegrini

Leggendo un libro ambientato nel periodo del Rinascimento fiorentino (Il Patto dei Penitenti Grigi – Augustín B. Palatchi), mi sono imbattuta nella consuetudine dell’epoca di commissionare agli artisti quadri che raffiguravano le nozze di personaggi illustri, un’usanza che possiamo considerare come l’antenata delle foto e dei video odierni.
Queste opere, oltre ad avere un intento di buon augurio, nascondevano significati simbolici, religiosi e non, che invitavano i destinatari a seguire la via della virtù secondo l’insegnamento della comune morale e della fede cristiana.
Il dipinto più famoso di questa categoria è probabilmente il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck, conservato alla National Gallery di Londra, che riproduce i due sposi nella cornice intima della camera nuziale. I soggetti sono Giovanni Arnolfini, un ricco mercante di stoffe originario di Lucca che si era stabilito per affari a Bruges, e sua moglie Giovanna Cenami.
Ovviamente l’ambientazione scelta dall’artista, e molti tra i particolari inseriti nel ritratto, nascondono un significato simbolico che all’epoca non era di difficile interpretazione. Ciò che salta subito all’occhio è l’ambientazione, la camera da letto, con il particolare del talamo sullo sfondo, a simboleggiare ovviamente la sacra unione benedetta con il sacramento del matrimonio. La sposa è ritratta con una mano posata sul ventre, che non sta ad indicare una gravidanza in corso, come si potrebbe erroneamente pensare (soprattutto perché le pieghe del vestito formano un rigonfiamento), ma bensì una sorta di promessa di fertilità.
Lo specchio che si vede appeso sopra il letto è lo speculum sine macula, un chiaro simbolo mariano, che rappresenta la verginità di Maria, quindi quella della sposa. In primo piano si vede un cagnolino, inteso in questo caso come impegno di fedeltà tra i due coniugi. Sul davanzale della finestra ci sono delle arance; nei paesi nordici questi frutti hanno lo stesso significato simbolico della mela, dunque del Peccato Originale, ed in questo frangente sono inseriti come monito per gli sposi a fuggire i comportamenti peccaminosi.
Ci sono anche degli zoccoli nell’angolo a sinistra, indicano che i promessi sposi sono scalzi poiché si accingono a percorrere un territorio sacro, quello del matrimonio. Si può anche notare che il lampadario a sei bracci ha una sola candela accesa a simboleggiare il matrimonio stesso. Inoltre su di un mobile si nota che è appesa una verga, questo oggetto si può riferire sia alla verginità (Virgo – virga), ma anche alla tradizione più popolare e pagana di simbolo fallico, dunque di fertilità, questa volta dello sposo.
Vicino allo specchio è appeso un rosario, un regalo piuttosto comune per l’epoca che lo sposo faceva a sua moglie; in questo frangente suggerisce la virtù della donna, il suo obbligo di essere fedele. È particolare anche la testiera del letto, sulla quale è intagliata una figura femminile con ai piedi un dragone; probabilmente si tratta di una rappresentazione di Santa Margherita, patrona delle partorienti,  il cui simbolo è appunto il drago.
Ritornando allo specchio, è interessante l’iscrizione che si nota sopra di esso, e che recita “Johannes De Eyck fuit hic 1432” (Jan Van Eyck fu qui 1432); questa iscrizione non è semplicemente la firma dell’autore, ma una vera e propria testimonianza della promessa di matrimonio dei due, che all’epoca poteva avere validità legale. Inoltre va ricordato che lo specchio, riflettendo tutta la scena, mostra, oltre ai due personaggi principali del dipinto, gli sposi Arnolfini, anche due figure sconosciute che, con molta probabilità, hanno la funzione di testimoni. La curiosità sta nel fatto che uno dei due potrebbe essere lo stesso Van Eyck, testimone due volte. A questo punto la domanda è lecita: sarà anche stato invitato al banchetto?

lunedì 22 aprile 2013

Motori, Autocollection 2013: il Parco Esposizioni Novegro tempio milanese del motorismo d’epoca

di Neraida Rustja

MOTORI, AUTOCOLLECTION 2013 PARCO ESPOSIZIONI NOVEGRO - La fiera delle auto da collezione sarà a Milano dal 03/05/2013 al 05/05/2013, una Mostra-scambio di auto, moto e ciclo d’epoca.  
Inizia tutto nel 1981 con la mostra Autosogno, che per prima porta a galla il tema particolare delle auto storiche delle Mille Miglia (esistente da 30 anni: un evento di incontro tra sport e personalità d'eccezione, dedicato agli amanti della "corsa più bella del mondo") per poi perseguire con altre mostre importanti in tutto il mondo come: Autosymbol, Autostyle, Ciclomotostar (fiera dell’off road, dedicata al fuoristrada con stand espositivi) e 4x4 Expo. Oggi il Parco Esposizioni Novegro si è fortemente caratterizzato poiché viene riconosciuto come luogo d'incontro e di scambio commerciale per i collezionisti delle due e quattro ruote.
Autocollection è la degna erede di queste esperienze. Programmata una volta l’anno, solitamente nel primo week-end di maggio, raduna nei padiglioni di Novegro e nell’area all’aperto auto, accessori, editoria e automobilia, oltre ad essere occasione di eventi ed iniziative molto apprezzate dai collezionisti.
Nei padiglioni e nelle vaste aree verdi del polo espositivo milanese si potranno ammirare le più belle vetture della tradizione automobilistica italiana oltre a significativi esemplari della produzione internazionale. Un aspetto molto vivace sarà inoltre rappresentato dai raduni che possono usufruire dei vasti spazi giardino del Parco di Novegro. In questo contesto è stato lanciato lo scorso anno il 1° Concorso di bellezza per auto per il tempo libero e il pic-nic, titolato “Giardini, giardiniere e giardinette”. Ecco allora che si presenta l’opportunità di farsi vedere a tutti i possessori di quelle vetture nate per il “tempo libero” di una volta, la cui tradizione prosegue ancora oggi nella voglia di evasione e di libertà che sono un valore consustanziale all’automobile.
In concomitanza con Autocollection si svolge anche la terza edizione annuale non solo della Mostra-Scambio di Auto, ma anche Moto e Ciclo d’Epoca, cosa che costituisce un ulteriore motivo di attrazione e interesse per i visitatori.              
Più di cinquecento sono gli espositori registrati nelle tre edizioni annuali in cui si sviluppa la manifestazione. Occupano un'area al coperto di 12.000 mq. e all'aperto di 60.000 mq. Nell'ambito della mostra, che per valore di scambi e trattative commerciali primeggia nella classifica nazionale degli eventi del settore, viene tradizionalmente allestita una tematica di grande richiamo storico avente come oggetto le due ruote nelle edizioni di febbraio e novembre e le quattro ruote in quella di maggio. 
L’esperimento della creazione dell’Autocollection è stato più che lusinghiero e grandi progetti si stanno facendo per il prossimo anno con Novegro che accende i riflettori anche sul design contemporaneo dell’auto.

Innovazione, Giornata della Terra: Doodle Earth-day di Google

di Serena Sgroi 


INNOVAZIONE, GOOGLE DOODLE EARTH-DAY - Un mini-ecosistema animato: questo il “regalo” di Google al nostro pianeta nel quarantesimo “Earth-day”. Il “doodle” di oggi sulla home del motore di ricerca più famoso al mondo riproduce con un’animazione grafica il nostro habitat naturale; montagne innevate, colline in fiore e un fiume in cui sguazzano alcuni pesciolini. Le immagini prendono vita nel susseguirsi del giorno e della notte, con tanto di movimento in cielo di Sole e Luna. Così, in pochi istanti e con alcuni tratti essenziali, Google punta a sottolineare l’importanza di questa ricorrenza voluta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU).
Istituita nel 1970, la Giornata della Terra celebra ogni anno, il 22 aprile, la salvaguardia del mondo su cui viviamo. Esattamente un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, sono almeno 175 i Paesi che aderiscono alle più varie iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su quelle che sono le più importanti problematiche del pianeta: dall’educazione ambientale alla cultura del progresso, nel rispetto delle risorse naturali e della salvaguardia degli ecosistemi. FAO, UNESCO, Ministeri dell’ Ambiente e dei Beni Culturali sostengono l’”Earth-day” in Italia (da un paio d’anni per l’organizzazione degli eventi promossi oggi - tra cui concerti e mobilitazioni nelle principali città italiane - esiste proprio l’Earth Day Italia®), mentre all’estero crescono le adesioni di personaggi dello spettacolo e di associazioni ed enti che si fanno promotori a livello locale, nazionale e globale del messaggio chiave di questa Giornata. Larghissimo e anno dopo anno crescente è, anche grazie al passaparola informatico e alla comunicazione social diffusa, il consenso di pubblico per le svariate iniziative organizzate un po’ qua e là in giro per il globo in occasione della Giornata Mondiale della Terra. Musica, libri e app dedicate al tema anche su Google Play.

domenica 21 aprile 2013

Arte, Caravaggio a Roma in 10 tappe - parte seconda



di Claudia Pellegrini

ARTE, CARAVAGGIO A ROMA 10 TAPPE - Continuiamo il nostro viaggio virtuale alla scoperta dei capolavori caravaggeschi a Roma con altre tappe.

4. MUSEI CAPITOLINI:  Il museo nasce storicamente nel 1471, anno in cui papa Sisto IV decide di donare al popolo romano una serie di statue bronzee. Di Caravaggio conserva due tele: la Buonaventura e San Giovanni Battista. Nel primo il soggetto principale è una zingara che ruba l’anello di un gentiluomo mentre gli legge la mano. Secondo una leggenda, il Merisi aveva scelto come modella una vera zingara che passava davanti al suo studio. Il volto sorridente della zingara è chiaramente spregiudicato, e contrasta con quello ingenuo del giovane che sembra non accorgersi del furto. Un particolare importante, che ritorna spesso nelle opere a carattere popolare dell’artista sono le unghie sporche. Si può affermare che il dipinto ha un intento moralistico, e invita chi guarda a non fidarsi del prossimo. Il secondo invece rappresenta San Giovanni fanciullo che abbraccia un ariete, probabilmente inteso come simbolo del sacrificio di Cristo, seduto su una tunica rossa ed una pelle di cammello, quest’ultima da sempre simboleggiava il santo. La particolare posa del personaggio ricorda i nudi di Michelangelo della Cappella Sistina, di cui Caravaggio era un grande appassionato. L’atmosfera del quadro, più che ricordare la solitudine dello spoglio deserto giudeo, rimanda alle rappresentazioni tipiche dell’Arcadia.

5. PALAZZO BARBERINI:  Nella galleria d’arte sita nel palazzo è possibile ammirare una ricca serie di capolavori risalenti ai secoli XVI e XVII che spaziano da Lippi a Bronzino, da Tintoretto a Guido Reni, da Guercino a Poussin, per citarne alcuni, fino ad arrivare a Caravaggio. Giuditta e Oloferne è la prima tela in cui il Merisi dipinge un soggetto drammatico. La scena feroce contrasta con la bellezza di Giuditta, e l’artista, nell’espressione orribile che da al viso della vittima, rende con straordinaria efficacia il momento da sempre più temuto dagli uomini: il passaggio dalla vita alla morte. Gli occhi rovesciati, la bocca urlante, le mani che si aggrappano al letto, fanno di Oloferne il ritratto del terrore ante mortem. La precisione realistica dell’insieme fa pensare che Caravaggio si sia ispirato a tutte quelle esecuzioni di fine secolo, tra cui ricordiamo le più celebri di Giordano Bruno e Beatrice Cenci. Il Narciso risale al periodo tra il 1597 ed il 1599, quando l’artista predilige le atmosfere magiche ed introspettive. Infatti il soggetto, ovviamente di carattere mitologico, ripercorre l’antico mito del giovinetto vanesio che si innamora della sua immagine riflessa nell’acqua. È interessante il rapporto luce ed ombra, reso ancora più evidente dal particolare del ginocchio, che divide in due la tela: la parte in luce in cui si trova la figura “reale” di Narciso e quella in ombra del suo riflesso nell’acqua.

6. MUSEI VATICANI: Spostandoci all’interno dei Musei Vaticani è possibile ammirare la Deposizione, uno dei massimi capolavori di Caravaggio. Fu commissionata da Girolamo Vittrice per la cappella di famiglia che si trovava in Santa Maria in Vallicella. La tela ha una storia travagliata alle spalle, infatti alla fine del 1700 fu trasferita a Parigi a seguito del Trattato di Tolentino. Fortunatamente rientrò in Italia nel 1816. Non vi è raffigurata la deposizione tradizionale, cioè il momento in cui Cristo viene calato nella tomba, ma il momento in cui Nicodemo e Giovanni lo adagiano sulla pietra tombale che chiuderà il sepolcro. Oltre a questi personaggi troviamo la Vergine, la Maddalena e Maria di Cleofa, quest’ultima molto suggestiva, colta in un gesto drammatico mentre alza le braccia e gli occhi al cielo.

7. COLLEZIONE PRIVATA ODESCALCHI: Nel palazzo Odescalchi di Piazza Santo Spirito è conservata la tela rappresentante la Conversione di San Paolo. Purtroppo l’opera non è esposta al pubblico tranne che in rare occasioni. Solitamente viene anche chiamata Caravaggio Odescalchi, per distinguerla da un altro dipinto con lo stesso tema che si trova nella Basilica di Santa Maria del Popolo. L’opera gli fu commissionata nel 1600 da Tiberio Cerasi per decorare la cappella di famiglia che da poco aveva iniziato a restaurare. Purtroppo il Cerasi morì l’anno successivo, a lavori non terminati, di conseguenza Caravaggio non poté consegnare la tela, che rimase per qualche anno nel suo studio.
Qualche anno dopo, accordatosi con gli eredi del Cerasi, venne invitato a dipingere una seconda versione del soggetto (quella appunto conservata nella Basilica di Santa Maria del Popolo). Il perché del cambiamento non è certo, ma è probabile che, in seguito al completamento dei lavori nella cappella, il dipinto originale non risultasse idoneo, così passò di mano in mano. Prima venne comprato dal Cardinale Giacomo Sannesio, successivamente fu venduto ad uno spagnolo che lo portò a Madrid; anni dopo figurò nella collezione di un nobile genovese fino ad arrivare, per vie ereditarie, alla famiglia Odescalchi, ritornando finalmente a Roma. Osservando la tela risulta ovvio che la scena ritratta è quella tipica della conversione paolina, quando sulla via di Damasco gli appare Gesù che  ordina  al santo di diventare un suo ministro. Caravaggio dipinge il Cristo sorretto da un angelo, Paolo invece, caduto da cavallo, si copre gli occhi accecato dalla luce divina. Il fiume che si vede scorgere dietro le figure è probabilmente l’Aniene.