ARTE, DIAVOLI ZISA - Nel 1165 a Palermo, poco fuori dalle mura cittadine, si iniziarono i lavori di
un palazzo voluto da Guglielmo I. L’edificio in questione, chiaro esempio di
architettura araba in epoca normanna, venne chiamato Palazzo della Zisa, dall’arabo al-Azīza,
cioè “la splendida”. Sorgeva nel parco normanno del “Genoardo”, o paradiso in terra, riserva di caccia reale, con
l’intento di diventare la residenza estiva dei re.
Il suo architetto, di cultura islamica,
era un profondo conoscitore di metodi per rendere più confortevole il palazzo
durante i mesi estivi, infatti aveva progettato un particolare sistema di
ventilazione che prevedeva la continua circolazione dell’aria fresca mediante
fori sul pavimento di ogni piano, ed un sistema di canne poste nelle torri
laterali.
Gli appartamenti ai primi due piani
vennero usati come residenza privata dalla famiglia reale, mentre il piano
terra accoglieva tutte le manifestazioni di corte. I suoi proprietari si erano
fregiati per anni del titolo di “Principi della Zisa”, creato appositamente dai
re di Spagna.
Nei secoli questo splendido palazzo subì
numerose trasformazioni. Nel 1300 fu apportata una merlatura, distruggendo
parte di un’iscrizione araba a caratteri cufici, che coronava l’edificio. Nel 1600
le modifiche furono particolarmente radicali, la Zisa era in pessime
condizioni, e quando venne rilevata da Don Giovanni di Sandoval, a cui fa
riferimento lo stemma marmoreo con due leoni posto all’ingresso, il nuovo
proprietario, per esigenze abitative, realizzò nuovi ambienti, quali diversi
volumi sul tetto, un grande scalone ed i vani delle finestre. Nel 1808, quando
morì l’ultimo dei Sandoval, il palazzo passò ai Notarbartolo, principi di
Sciarra, che lo utilizzarono come residenza fino agli anni 50 del 1900, quando
la Regione Sicilia lo espropriò.
Negli anni 70 del 900 iniziò il restauro
in seguito al crollo di un’itera area, i lavori si protrassero fino agli anni
90, ed oggi, il palazzo è meta di turisti e curiosi che restano affascinati non
solo dalla solida architettura normanna, ma anche dalla bellezza degli interni,
in cui si mescolano culture diverse, a testimonianza di un’epoca piena di
fascino, dalle fontane e dalle peschiere che si trovano nell’ingresso
principale, ma anche dai rigogliosi giardini circostanti. Nelle sale sono
esposti molti manufatti islamici provenienti da vari paesi del bacino
Mediterraneo, tra questi le bellissime musciarabia,
cioè dei paraventi lignei a grata, utensili di uso comune e da arredo.
Ma c’è qualcosa che attira particolarmente
chi visita il palazzo, un affresco dipinto sull’arco di ingresso della Sala della Fontana raffigurante gli dei
dell’Olimpo messi in circolo, tra cui spicca Giove al centro, figure che la
tradizione popolare ha soprannominato Diavoli.
La leggenda dice che siano i custodi di un grande tesoro in monete d’oro,
nascosto all’interno dell’edificio, e che impediscano a chiunque di venirne in
possesso con uno stratagemma: se si guarda dal basso queste figure è
impossibile riuscire a contarne il numero esatto, poiché inducono l’osservatore
a girare su se stesso, facendogli perdere il conto e illudendolo che a
spostarsi siano loro stesse.
L’illusione è dovuta al fatto che alcune delle
figure sono molto piccole e altre non sono integre, di conseguenza, c’è chi le
conte e chi no; eppure nei secoli questa comune illusione ottica è diventata
una credenza popolare, facendo divenire delle innocue raffigurazioni
mitologiche delle figure diaboliche.
Inoltre, le correnti provocate dal
particolare impianto d’aria arabo-normanno, e dalla disposizione delle aperture
del palazzo, hanno contribuito alla leggenda che siano generate da quelle
figure mitologiche, come se fossero dei folletti del vento. Questo ha
influenzato anche il modo di parlare degli abitanti di Palermo, i quali, in
caso di vento particolarmente intenso, sono soliti dire: “Oggi si sono liberati i diavoli della Zisa”. E non solo, esiste
anche un altro detto popolare: “E chisu,
li diavoli di la Zisa?”(E cosa sono? I diavoli della Zisa?); in questo caso
viene usata l’espressione in una situazione in cui non tornano i conti, proprio
come quando si tenta di contare le figure sull’arco. Per curiosità e approfondimenti sul Palazzo
della Zisa i Diavoli e la leggenda si può sempre consultare l’interessante
volume di Luca Filippi, I Diavoli della Zisa, Leone Editore.
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