ARTE,WUNDERKAMMER PARADISO SEGRETO DEL COLLEZIONISTA - Sicuramente non tutti conoscono il
termine Wunderkammer. Letteralmente
significa “camera delle meraviglie”, e viene usato per
indicare un particolare genere di collezione, affermatosi nel corso del XVI secolo, di tipo non specialistico,
cioè che riunisce nello stesso luogo oggetti anche molto diversi tra loro. Al
collezionista interessava infatti tutto ciò che era raro e curioso, le
cosiddette mirabilia, sia che si
trattasse di prodotti della natura (naturalia),
sia oggetti costruiti dall’uomo (artificialia),
l’importante è che fossero oggetti straordinari.
In questi luoghi era possibile
imbattersi in animali con due teste, coppie di gemelli con una parte del corpo
in comune, ortaggi dalle forme bizzarre o superiori alla media, barattoli di
vetro con dentro parti del corpo umano o feti ed animali; spesso sul tetto
della camera o anche alle pareti vi erano appesi animali essiccati, come ad
esempio piccoli coccodrilli o lucertole, mammiferi ed uccelli, ma anche
conchiglie rare.
Gli oggetti, affiancati uno accanto
all’altro secondo criteri di catalogazione alquanto bizzarri per il nostro
tempo, esprimevano il desiderio tipicamente umanista della conoscenza
enciclopedica del mondo. Le collezioni erano infatti anche viste come occasioni
di studio e di sperimentazione, non a caso, contenevano svariati strumenti di
osservazione, nonché complicatissimi attrezzi meccanici. Ovviamente però, dato
il costo ingente di tali reperti, possedere una Wunderkammer degna del suo
nome, era appannaggio esclusivo di re e nobili, o comunque di ricchi
intellettuali, ma anche di conventi e monasteri. Non era infrequente infatti
che nelle abbazie si ospitassero non solo libri rari, ma anche piccole
Wunderkammer che contenevano preferibilmente oggetti legati allo studio ed alla
scienza, soprattutto in virtù del fatto che questi luoghi spesso ricevevano
donazioni, eredità ed ex voto per grazia ricevuta, tanto che a volte i monaci,
nel XVIII secolo, ne consentivano la fruizione al pubblico, quasi si trattasse
di un museo.
Questo interesse per lo strano ed il
meraviglioso non era un fenomeno nuovo, già nel Medioevo tra i tesori delle
chiese, erano presenti rarità ed oggetti curiosi; ma solo a partire dal
Rinascimento si cominciano a sviluppare collezioni particolari.
Il momento che unisce le due epoche è
rappresentato degnamente da Jean de
Berry nel castello di Mehun-sur-Yèvre. In questo posto
troviamo affiancati gli oggetti più disparati: pietre preziose e perle, pezzi
rari di oreficeria, reperti di vario genere come muschi, ambre, contravveleni,
orologi meccanici; c’è anche un piccolo gabinetto di storia naturale, con tanto
di uova di struzzo, denti di balena, mascelle di serpente.
Questo insieme di oggetti è specchio
della tendenza all’universalità che diventerà la caratteristica del
collezionismo più tardo. Come esempio si può citare la collezione che l’arciduca Ferdinando del Tirolo fece allestire nel castello di Ambras nella seconda metà
del XVI secolo, oggi ancora parzialmente visibile nei musei. La collezione in
questione era ordinata in diciotto armadi dal colore diverso, nei quali erano
custoditi gli oggetti divisi a seconda del materiale e della tecnica di lavorazione:
pietre dure, ferro, avorio, corallo, alabastro, bronzo, ceramica, porcellana.
Uno degli armadi conteneva vasellame vario, tra cui la famosa saliera di Cellini, una splendida opera
scultorea in ebano, oro e smalto, realizzata appunto da Benvenuto Cellini durante il suo soggiorno in Francia, tra il 1540
ed il 1543; nonostante le sue dimensioni ridotte, è indubbiamente un capolavoro
d’oreficeria. In un altro armadio c’erano le pietre lavorate, cioè quei
minerali incisi e sistemati in montature; in un altro c’erano strumenti
musicali di vario genere; un altro ancora era riservato agli oggetti di
meccanica: orologi, strumenti astronomici, ottici e matematici; in un altro
c’erano rarità esotiche provenienti dall’Oriente.
Raccolte di questo genere, accomunate dal
gusto per il curioso ed il particolare, si diffusero in ogni paese europeo. Un
altro esempio può essere quella dei duchi
di Baviera, costruita da Rodolfo II
nel castello di Hradschin a Praga e,
per non dimenticare l’Italia, quella più tarda del milanese Manfredo Settala che, prendendo spunto
dalle grandi collezioni nordiche, comprendeva lavori in ambra, corallo,
strumenti meccanici e curiosità naturali.
Tuttavia è necessario precisare che in
Italia, la variante alla Wunderkammer è il più classico studiolo, una sorta di piccolo museo sito in genere nell’angolo più
intimo ed appartato della casa o del palazzo. Questo ambiente era stato pensato
originariamente come un luogo di studio, quindi corredato di libri, leggii e
tutto l’occorrente per scrivere; durante il Rinascimento invece muta forma e
contenuto, diventando il sito ideale per le collezioni private di scienza ed
arte. Tra gli studioli italiani più famosi ricordiamo quello di Isabella d’Este, quelli di Federico da Montefeltro a Urbino e a
Gubbio, quello di Francesco I de’ Medici
a Palazzo Vecchio a Firenze, particolarmente significativo.
Soffermiamoci meglio su quest’ultimo;
eseguito dopo il 1570 da una serie di artisti, tra cui Vasari, Borghini, Santi di Tito, i quali si adoperarono
per decorare di splendide pitture lo studiolo di Francesco I, umbratile
letterato, interessato all’alchimia, collezionista di gioie, medaglie, pietre
intagliate, vasi e cristalli lavorati. Le decorazioni eseguite alludevano al
lavoro delle manifatture granducali fondate dallo stesso Francesco, che amava
partecipare direttamente alla realizzazione degli oggetti e alla
sperimentazione delle nuove tecniche di lavorazione.
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