ARTE, LE STREGONERIE DI SALVATOR ROSA - La magia e la stregoneria hanno una
tradizione che risale alle origini dell’uomo, di conseguenza,
da sempre hanno trovato spazio tra le arti visive. Mentre in età medievale era
frequente la rappresentazione delle attività legate al mondo dell’occulto, in
epoca moderna la stregoneria venne soprattutto rappresentata nell’iconografia
nordica, in genere fiamminga e tedesca. In Italia l’immagine della strega era
accomunata con quella della maga, la Circe
di derivazione classica, colei che affrontava la magia con sguardo sereno e
positivo, ma ben presto, grazie alle influenze della pittura fiamminga in
Italia, questa Circe si trasforma nella strega di Salvator Rosa. Le sue opere sono state definite “fantasmagoriche”, create per stimolare l’immaginazione, ed è certo che è stato l’ambiente
fiorentino, che aveva frequentato per diversi anni, ad aver stimolato
l’interesse del pittore per la tematica magica. Nel 600 infatti Firenze era
ricca di Accademie, luoghi in cui si riunivano i più grandi intelletti
dell’epoca, anche il Rosa, aderendo a questa tradizione, aveva fondato
un’accademia presso la sua abitazione, nominandola Accademia dei Percossi.
Tuttavia, in ambito figurativo, l’interesse
del pittore per le macabre scene di streghe ha inizio in maniera indiretta, e
va ricondotto a le Tentazioni di S.
Antonio, un dipinto per il principe Giancarlo de’ Medici, prodotto intorno
al 1640. Questo soggetto era particolarmente amato dagli artisti nordici che si
deliziavano a infliggere al santo ogni sorta di allucinazione sessuale,
zoologica o sadica. Rosa invece si contiene nel descrivere l’assedio delle
potenze diaboliche e mostra il santo assalito da una figura mostruosa
accompagnata da qualche piccolo demone. Rappresentare le Tentazioni di S.
Antonio era un modo per raffigurare demoni ed apparizioni sovrannaturali senza
rischiare di incorrere nel rischio di sospetto da parte dell’Inquisizione, dal
momento che si restava nell’ambito dell’iconografia sacra. Il passo dalle
Tentazioni alle Stregonerie è stato breve.
Dall’inizio del 500 le streghe
cominciarono ad essere le protagoniste di certe stampe provenienti dal Nord
Europa, molto diffuse tra intellettuali e collezionisti. Nonostante la
posizione ferrea della Chiesa, questi soggetti pian piano si insinuarono nel
panorama artistico italiano, rimanendo però una pittura di genere, quindi ai
margini. Dal punto di vista letterario, invece, le streghe, ed in particolare i
loro incantesimi, avevano una lunga tradizione di testi molto diffusi, anche se
banditi dalla chiesa.
Una delle prime opere del Rosa a
soggetto magico fu Scena di Stregoneria,
per il Marchese Bartolomeo Corsini, in cui un gruppo di donne seminude si agita
estaticamente mentre brandiscono torce infuocate attorno ad un cerchio magico
realizzato con ossa, monete, corde e cadaveri di animali; una di queste cattura
la scena in uno specchio. L’atmosfera della tela si allontana dalla classica
iconografia italiana e si avvicina a quella fiamminga, infatti l’aspetto e la
gestualità delle streghe è simile a ciò che mostravano le stampe già citate.
Successivamente abbiamo i Tondi con Stregonerie, una serie di
quattro tondi il cui committente fu probabilmente Francesco Piccolini, ministro
del Gran Duca di Toscana. Il primo raffigura un gruppo di streghe che sacrifica
dei coccodrilli, una di esse domina la scena a cavallo di una gigante civetta;
gli animali notturni con occhi ipnotici quali gatti, serpenti o civette, erano
considerati magici e spesso alter ego di figure demoniache. Nel secondo tondo
Rosa abbandona momentaneamente l’iconografia nordica per tornare alla tipologia
di strega italiana, infatti la rappresenta giovane e bella, in sintonia con il
paesaggio macabro che la circonda, mentre si presta al gioco di mostruose
creature. Il terzo raffigura una strega seduta vicino ad un calderone intenta
al suo lavoro, operando con delle statuine di cera; lo scheletro di un grosso
animale si arrampica su una linea immaginaria tenendo in mano una “A” ed una
clessidra, probabilmente ad indicare il principio e la fine dello scorrere del
tempo. Infine, il quarto tondo, mostra un mago che tende una bacchetta verso
mostruose apparizioni; nella parte sinistra del dipinto si intravedono dei
viaggiatori a cavallo.
Una ulteriore Scena di Stregoneria è stata eseguita da Rosa per uno dei suoi
amici romani, Carlo De Rossi,
banchiere, collezionista e commerciante di quadri; si dice che il De Rossi
nascondeva questa scena di incantesimi sotto una cortina, non tanto per
accrescere il misticismo del dipinto, ma soprattutto per tenerlo lontano dagli
occhi di qualche visita ecclesiastica che avrebbe potuto sollevare scandalo. Va
precisato che scene di questo genere, nonostante la presenza dell’Inquisizione,
fossero maggiormente tollerate a Firenze, mentre a Roma si sarebbe rischiato un
processo realizzando o mettendo in vendita opere dalle tematiche inopportune.
Ritornando al quadro, esso ritrae una robusta strega sulla sinistra che indica
il centro dell’attività ad una giovane bendata, un’iniziata. Di fronte alla
coppia un uomo anziano sostiene uno scheletro, disteso nella cassa, dietro di
lui una figura velata. Noncurante di tutto ciò che accade una fanciulla nuda
guarda in uno specchio nel quale è riflessa l’immagine del manichino di cera che
ha in mano. Una vecchia schiaccia viscere in un mortaio, utilizzando un osso
come pestello. Al centro della composizione campeggia il tronco di un albero
secco al quale è appeso il corpo di un impiccato. Vicino l’albero c’è un
soldato che incendia un coniglio posto al centro di un cerchio magico. Sullo
sfondo, infine incombe lo scheletro di un gigantesco volatile che indica con il
becco una strega che sta per gettare un neonato nelle fauci di un mostro dalla
forma strana. I rituali dipinti in questa tela sembrano corrispondere a precisi
riti negromantici effettuati per invocare le anime dei defunti e descritti da Cornelio Agrippa nel De Occulta Philosophia, uno dei
trattati più diffusi ed utilizzati nel mondo magico-filosofico-scientifico
seicentesco. Inoltre, cadaveri o parti di essi potevano essere utilizzati anche
per compiere malefici, come si può leggere sul Compendium Maleficarum di Francesco
Maria Guazzo.
Le streghe di Salvator Rosa, inserite
nell’attualità, e, nello stesso tempo, legate ad una realtà molto antica,
suscitarono presto curiosità e sorpresa, come si evince dal numero di copie
esistenti. Si può dire che rappresentano un frammento del mondo di quell’arte
magica che, necessità dell’uomo fin dalle origini, trova ampio spazio e
possibilità di espressione fino all’età contemporanea.
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