ARTE, GUIDO RENI CARDINAL GIOVANNI BATTISTA PAMPHILJ - Come è noto Guido Reni, insieme ad altri artisti
del calibro di Bernini o Borromini, fu uno dei maggiori rappresentanti
dell’arte del XVII secolo. Era originario di Bologna e, come tanti altri, era
giunto a Roma per completare il suo percorso di formazione artistica, attratto
dalle possibilità lavorative che offriva la città dei papi, all’epoca capitale
dell’arte.
Viene ricordato
non solo per le sue qualità pittoriche, ma anche per il carattere stravagante.
Di lui, infatti, sappiamo che era un uomo attraente, piuttosto ricco, aveva
l’abitudine di vestirsi sempre in modo elegante, ma soffriva di manie
persecutorie, in particolar modo viveva nel terrore di essere avvelenato, per
questo motivo era solito frequentare maghi e stregoni.
Nel periodo in
cui Reni era attivo a Roma, due famiglie si contendevano il potere, i Barberini
ed i Pamphilj, e le relazioni tra di loro, per ovvie ragioni, era tutt’altro che
amichevoli. Il Cardinal Antonio
Barberini, fratello dell’allora papa Urbano VIII, appartenente all’ordine
dei Cappuccini, finanziò la costruzione di una chiesa, Santa Maria della Concezione, e, per una delle cappelle,
commissionò a Guido Reni di dipingere un quadro che raffigurasse l’Arcangelo Michele.
A questo punto è
opportuno precisare che questa chiesa, al di là dello splendido dipinto di
Reni, viene soprattutto ricordata per il vecchio cimitero sito al di sotto
dell’edificio, una cripta fatta da uno stretto corridoio che collega diverse
cappelle. Le pareti e la volta delle suddette cappelle sono ricoperte da ricche
decorazioni. Ma come sono fatte queste decorazioni? Stucchi? Marmi? Niente di
tutto questo, semplicemente vennero utilizzati teschi, femori, denti, tutti
appartenuti agli scheletri dei defunti frati cappuccini. Decisamente un bel
risparmio di materiali costosi, ma piuttosto macabro e sconsigliato agli
impressionabili. Per il tempo una decorazione del genere non era inusuale; per
gli appartenenti all’ordine era addirittura un onore contribuire a queste
“simpatiche” composizioni con i propri resti. Indubbiamente è una tappa
imperdibile per gli amanti dell’orrido, che troveranno di loro gradimento anche
gli scheletri interi vestiti con i saio dei Cappuccini, nonché il motto del
cimitero: “ noi eravamo quello che voi
siete, e quello che noi siamo voi sarete”.
Ma torniamo a
Guido Reni. Secondo una leggenda, che a quanto pare contiene più di un briciolo
di verità, al nostro artista era giunta voce che il Cardinal Giovanni Battista Pamphilj, rappresentante della famiglia
omonima, dunque anche rivale del committente del quadro, avesse offeso la sua
reputazione con una serie di diffamazioni, di cui purtroppo non se ne conoscono
i particolari. Reni, permaloso com’era, decise di approfittare dell’Arcangelo Michele per vendicarsi
del torto subito, compiacendo anche il Cardinal Antonio Barberini.
Dai ritratti che
abbiamo di Giovanni Battista Pamphilj, possiamo notare che aveva un volto lungo
ed affilato, era stempiato, con la barba rada ed aveva uno sguardo piuttosto
malvagio ed inquietante. A Guido Reni queste sembianze sembrarono più che
perfette per raffigurare Satana. Infatti nel dipinto i soggetti sono due,
l’Arcangelo Michele che schiaccia con un piede la faccia di Satana, ovvero la
faccia del Pamphilj.
Antonio
Barberini di certo deve essere stato soddisfatto di vedere il viso del rivale
schiacciato da un piede angelico, ma il Pamphilj, come c’era da aspettarsi,
prese il tutto come un oltraggio. Guido Reni, fedele alla sua stravaganza,
aggirò la questione dicendo che Satana gli era apparso in una visione, e se
disgraziatamente il buon Cardinale era così sfortunato da somigliargli, che
colpa poteva mai averne un povero pittore?
Davanti ad
un’affermazione del genere Giovanni Battista Pamphilj dovette rassegnarsi, suo
malgrado, ad apparire sotto le sembianze di Satana. La faccenda divenne ancora
più imbarazzante quando qualche anno dopo, precisamente nel 1644, il novello
Satana fu eletto papa col nome di Innocenzo X. E la vendetta continua ancora,
dato che, nonostante il passare dei secoli, il quadro è ancora al suo posto.
Morale della favola: mai inimicarsi un pittore!
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