ARTE, I BAMBOCCIANTI - Il genere di pittura popolare con
soggetti estranei alla storia ed alla religione, ebbe significativi sviluppi
tanto da rinnovare la ricerca figurativa realistica grazie all’attività di
alcuni artisti olandesi. Nel primo trentennio del XVII secolo, gli olandesi
residenti a Roma fondarono una corporazione professionale che fungeva anche da
centro di ritrovo; la loro attività sollevò vasto interesse presso i
collezionisti, amanti delle novità, ma aspre critiche di pittori e teorici
classici. Giovanni Bellori, il
critico ufficiale del secolo, così come fraintese addirittura l’opera di
Caravaggio, allo stesso modo negò valore alle scene di vita di strada e agli
avvenimenti quotidiani.
Iniziatore del nuovo genere fu Pieter van Laer, detto il Bamboccio a causa del suo aspetto
deforme, il quale aveva lasciato l’Olanda negli anni 20 per stabilirsi a Roma;
vi rimase un quindicennio, vivendo il periodo più creativo della sua carriera.
La sua vena narrativa diede una visione dettagliata nei particolari della Roma
dell’epoca, mediante scene che rappresentavano venditori ambulanti, giocatori
di morra, feste e processioni, ciarlatani, interni di botteghe, borghi abitati
da gente umile.
Significativa è la tela Il Ciambellaro, eseguita nel 1630, che
rivela una componente fondamentale nella cultura dell’artista, ovvero il
realismo antiretorico, oltre che alla maestria del gioco luce ed ombra. Dunque,
la pittura del Bamboccio e dei suoi numerosi seguaci, i Bamboccianti, propose la conoscenza di una nuova città papale, non
più esclusivamente monumentale, ma un luogo che invitava alla riflessione
politica e sociale.
Più orientato verso l’aspetto
cronachistico è l’italiano Michelangelo Cerquozzi,
che con le sue scene vivaci di costume, quali la Raccolta delle melograne oppure l’Abbeveratoio, sviluppò uno stile autonomo, che non di rado
affrontava anche soggetti sacri di grande formato, battaglie e nature morte.
La scena di genere continuò la sua
ascesa fino ad approdare, all’inizio del XVIII secolo, a Napoli, dove la
rappresentazione di episodi di vita quotidiana dei diversi ceti sociali
convisse insieme alla produzione pittorica più aulica. Un rappresentante
d’eccezione di questo filone napoletano è stato Gaspare Traversi, che seppe leggere le contraddizioni della società
napoletana in chiave antiaristocratica. L’attenzione dell’artista captava con
rigorosa obiettività la realtà umana senza maschere, nella sua miseria, con le
sue debolezze, contraddizioni e speranze, spesso con pungente ironia. Un
esempio può essere la tela La lettera
d’amore carica di espressività, riconducibile anche a quella nuova forma di
teatro popolare e borghese che al tempo si stava sostituendo alla vecchia
Commedia dell’Arte.
Anche nell’Italia settentrionale
affiorarono alcune personalità che poterono competere con Traversi per la
spiccata capacità di rappresentare la realtà. È il caso di Giacomo Ceruti, bresciano, autore di dipinti sacri e di una ben più
copiosa produzione ritrattistica e di genere, nella quale rifluirono il
naturalismo caravaggesco, la pittura di genere nordica, le incisioni del
francese Callot e quel filone
realistico lombardo radicato nel territorio sin dal 400. Egli proponeva una
tematica pauperistica, dipingendo idioti, mendicanti, lavandaie, uomini di
fatica, che gli valsero l’appellativo di Pittocchetto.
Si distinse per una lettura spoglia da curiosità, ironia e descrittivismo
compiaciuto, prediligendo la rappresentazione di un’umanità anonima, anche
lacera e pezzente, ma autentica e viva, concreta nella sua individuale realtà,
come si evince, ad esempio dalla tela La
lavandaia.
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