giovedì 2 maggio 2013

Arte, l'affresco scomparso: la Battaglia di Anghiari

di Claudia Pellegrini

ARTE, L'AFFRESCO SCOMPARSO: LA BATTAGLIA DI ANGHIARI - Che cosa distingue un dipinto di Leonardo da Vinci da quello di un qualsiasi altro pittore del Quattrocento? Le risposte possono essere molteplici: l’approfondito studio della natura, delle figure umane rese sin nei minimi particolari, la plasticità delle forme, la luce, la resa dei vari fenomeni atmosferici … In pratica non esiste un’opera di Leonardo che, confrontata con i precedenti dell’epoca, non risulti impressionante per le differenze qualitative. Tra le tante opere conosciute del celebre artista, merita attenzione un affresco, unico nel suo genere, purtroppo oggi scomparso: la Battaglia di Anghiari.
Nel 1503 la repubblica di Firenze incarica Leonardo di eseguire un affresco nella sede del nuovo organismo elettorale di liberi cittadini, istituito proprio dopo la caduta dei Medici, il Maggior Consiglio. L’affresco, che doveva essere inserito in un progetto più vasto di decorazione della sala, doveva ovviamente rappresentare la grandezza della toscanità, e quale miglior modo se non rappresentando la battaglia del 1440 di Anghiari, vinta proprio dai fiorentini e dalle truppe pontificie contro i milanesi?
Leonardo si dedica a questo lavoro fino al 1505-1506, riuscendo a realizzare, oltre al cartone che serviva da modello, anche una parte del dipinto definitivo; purtroppo né l’uno né l’altro si sono conservati, e questo straordinario affresco ci è noto solo attraverso copie, fra le quali quella di Rubens. L’immagine riproduce solamente la parte centrale della scena, con molta probabilità l’unica realizzata da Leonardo. Raffigura una lotta feroce di cavalieri che si contendono l’asta del gonfalone. Dato che il gonfalone era il simbolo della città, la scelta di questo episodio valeva come incitamento alla difesa della libertà di Firenze.
Leonardo concentra la composizione in uno spazio ristretto, e raccoglie all’interno di questo una grande ricchezza di ritmi dinamici, una violenta opposizione di forze che si contrastano tra loro, distinguibili a fatica nella composizione poiché annodate tra loro. La complessità e l’insieme dei movimenti di cavalli e soldati intensificano la forza espressiva dell’immagine, che raggiunge una tensione drammatica e una potenza rappresentativa che non ha precedenti.
Con quest’opera il da Vinci allarga le possibilità espressive dell’eroico cinquecentesco, che si stacca dal legame esclusivo che aveva con le raffigurazioni di serenità e bellezza. Questo potenziamento drammatico del linguaggio figurativo non corrisponde però ad alcun intento di illustrazione oggettiva del tema storico rappresentato: infatti Leonardo, contro ogni fine narrativo e celebrativo, con il tema della battaglia vuole mostrare la rappresentazione della ferocia, della bestialità umana che non può essere condannata in quanto dato universale. Questa sconvolgente consapevolezza dell’universalità di certi istinti primordiali si può notare in un disegno preparatorio, in cui il volto di un uomo devastato dalla ferocia subisce una paurosa metamorfosi, che lo assimila ai musi del cavallo e del leone, smascherandone così l’aspetto animale.
Sappiamo che Leonardo avrebbe voluto raffigurare il tema grazie ad uno straordinario brano scritto da lui stesso nel 1490. Sarebbe una sorta di manuale per quel pittore che si accingeva a raffigurare un combattimento, in cui si insegna a dipingere il fumo e la polvere, le pose dei cavalli e dei cavalieri, le espressioni dei vinti e dei vincitori. Se si confrontano altre opere quattrocentesche con queste indicazioni, è inevitabile trovarle vuote e superficiali, degli assemblaggi di manichini privi di vita, gettati nella mischia in modo innaturale e casuale.
Ma perché l’affresco non è giunto sino ai nostri giorni? A quanto ne sappiamo, Leonardo realizzò il cartone nella Sala del Papa del convento di Santa Maria Novella, nel frattempo aveva già iniziato la preparazione per la pittura a Palazzo Vecchio. Ma commise un errore, poiché volle realizzare l’affresco basandosi sulla lettura di Plinio, utilizzando la tecnica “a encausto”, cioè fissata a fuoco, la stessa che permette di ammirare ancora oggi gli affreschi romani, mantenendone quasi intatti i colori. Come sappiamo Leonardo sperimentava sempre tecniche nuove, ma questa volta, benché fosse abituato a correre rischi, l’esperimento non finì bene, nonostante ne avesse fatto una prova su un quadro nella Sala del Papa che aveva dato buon esito. Applicando infatti il procedimento al grande muro su cui doveva essere realizzata la pittura, accendendo quindi dei fuochi alla base, la zona inferiore seccò così come doveva, quella superiore invece, troppo distante dal calore, colò inesorabilmente. I lavori vennero così sospesi, ma non è improbabile che qualcosa sia comunque rimasta poiché diversi testimoni dell’epoca affermano di aver visto l’affresco.
Nel 1557, qualsiasi cosa restasse dell’opera leonardesca venne coperta dagli affreschi del Vasari. Ma come hanno affermato studi recenti, distaccando questa ultima parte, potrebbe essere possibile rintracciare le parti autografe della pittura di Leonardo. Ed è proprio quello che è successo nel 2011, quando grazie ai radar, dopo 37 anni di studi, l’ingegner Seracini, ha scoperto un’intercapedine tra il muro più antico e quello più moderno (vasariano). Sono state visualizzate tracce di materiali compatibili con una stesura pittorica, forse proprio appartenenti alla Battaglia di Anghiari.
Purtroppo i lavori di recupero sono stati interrotti nell’agosto 2012 dal sindaco Renzi per ragioni non del tutto chiarite. Il mistero dell’affresco dunque continua ancora oggi.

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