lunedì 29 aprile 2013

Arte, i Diavoli della Zisa

di Claudia Pellegrini


ARTE, DIAVOLI ZISA - Nel 1165 a Palermo, poco fuori dalle mura cittadine, si iniziarono i lavori di un palazzo voluto da Guglielmo I. L’edificio in questione, chiaro esempio di architettura araba in epoca normanna, venne chiamato Palazzo della Zisa, dall’arabo al-Azīza, cioè “la splendida”. Sorgeva nel parco normanno del “Genoardo”, o paradiso in terra, riserva di caccia reale, con l’intento di diventare la residenza estiva dei re.
Il suo architetto, di cultura islamica, era un profondo conoscitore di metodi per rendere più confortevole il palazzo durante i mesi estivi, infatti aveva progettato un particolare sistema di ventilazione che prevedeva la continua circolazione dell’aria fresca mediante fori sul pavimento di ogni piano, ed un sistema di canne poste nelle torri laterali.
Gli appartamenti ai primi due piani vennero usati come residenza privata dalla famiglia reale, mentre il piano terra accoglieva tutte le manifestazioni di corte. I suoi proprietari si erano fregiati per anni del titolo di “Principi della Zisa”, creato appositamente dai re di Spagna.
Nei secoli questo splendido palazzo subì numerose trasformazioni. Nel 1300 fu apportata una merlatura, distruggendo parte di un’iscrizione araba a caratteri cufici, che coronava l’edificio. Nel 1600 le modifiche furono particolarmente radicali, la Zisa era in pessime condizioni, e quando venne rilevata da Don Giovanni di Sandoval, a cui fa riferimento lo stemma marmoreo con due leoni posto all’ingresso, il nuovo proprietario, per esigenze abitative, realizzò nuovi ambienti, quali diversi volumi sul tetto, un grande scalone ed i vani delle finestre. Nel 1808, quando morì l’ultimo dei Sandoval, il palazzo passò ai Notarbartolo, principi di Sciarra, che lo utilizzarono come residenza fino agli anni 50 del 1900, quando la Regione Sicilia lo espropriò.
Negli anni 70 del 900 iniziò il restauro in seguito al crollo di un’itera area, i lavori si protrassero fino agli anni 90, ed oggi, il palazzo è meta di turisti e curiosi che restano affascinati non solo dalla solida architettura normanna, ma anche dalla bellezza degli interni, in cui si mescolano culture diverse, a testimonianza di un’epoca piena di fascino, dalle fontane e dalle peschiere che si trovano nell’ingresso principale, ma anche dai rigogliosi giardini circostanti. Nelle sale sono esposti molti manufatti islamici provenienti da vari paesi del bacino Mediterraneo, tra questi le bellissime musciarabia, cioè dei paraventi lignei a grata, utensili di uso comune e da arredo.
Ma c’è qualcosa che attira particolarmente chi visita il palazzo, un affresco dipinto sull’arco di ingresso della Sala della Fontana raffigurante gli dei dell’Olimpo messi in circolo, tra cui spicca Giove al centro, figure che la tradizione popolare ha soprannominato Diavoli. La leggenda dice che siano i custodi di un grande tesoro in monete d’oro, nascosto all’interno dell’edificio, e che impediscano a chiunque di venirne in possesso con uno stratagemma: se si guarda dal basso queste figure è impossibile riuscire a contarne il numero esatto, poiché inducono l’osservatore a girare su se stesso, facendogli perdere il conto e illudendolo che a spostarsi siano loro stesse.
L’illusione è dovuta al fatto che alcune delle figure sono molto piccole e altre non sono integre, di conseguenza, c’è chi le conte e chi no; eppure nei secoli questa comune illusione ottica è diventata una credenza popolare, facendo divenire delle innocue raffigurazioni mitologiche delle figure diaboliche.
Inoltre, le correnti provocate dal particolare impianto d’aria arabo-normanno, e dalla disposizione delle aperture del palazzo, hanno contribuito alla leggenda che siano generate da quelle figure mitologiche, come se fossero dei folletti del vento. Questo ha influenzato anche il modo di parlare degli abitanti di Palermo, i quali, in caso di vento particolarmente intenso, sono soliti dire: “Oggi si sono liberati i diavoli della Zisa”. E non solo, esiste anche un altro detto popolare: “E chisu, li diavoli di la Zisa?”(E cosa sono? I diavoli della Zisa?); in questo caso viene usata l’espressione in una situazione in cui non tornano i conti, proprio come quando si tenta di contare le figure sull’arco.  Per curiosità e approfondimenti sul Palazzo della Zisa i Diavoli e la leggenda si può sempre consultare l’interessante volume di Luca Filippi, I Diavoli della Zisa, Leone Editore.

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