ARTE, L'AFFRESCO SCOMPARSO: LA BATTAGLIA DI ANGHIARI - Che cosa distingue un dipinto di Leonardo da Vinci da quello di un
qualsiasi altro pittore del Quattrocento? Le risposte possono essere
molteplici: l’approfondito studio della natura, delle figure umane rese sin nei
minimi particolari, la plasticità delle forme, la luce, la resa dei vari
fenomeni atmosferici … In pratica non esiste un’opera di Leonardo che,
confrontata con i precedenti dell’epoca, non risulti impressionante per le
differenze qualitative. Tra le tante opere conosciute del celebre artista,
merita attenzione un affresco, unico nel suo genere, purtroppo oggi scomparso:
la Battaglia di Anghiari.
Nel 1503 la repubblica di Firenze
incarica Leonardo di eseguire un affresco nella sede del nuovo organismo
elettorale di liberi cittadini, istituito proprio dopo la caduta dei Medici, il
Maggior Consiglio. L’affresco, che doveva essere inserito in un progetto più
vasto di decorazione della sala, doveva ovviamente rappresentare la grandezza
della toscanità, e quale miglior modo se non rappresentando la battaglia del
1440 di Anghiari, vinta proprio dai fiorentini e dalle truppe pontificie contro
i milanesi?
Leonardo si dedica a questo lavoro fino
al 1505-1506, riuscendo a realizzare, oltre al cartone che serviva da modello,
anche una parte del dipinto definitivo; purtroppo né l’uno né l’altro si sono
conservati, e questo straordinario affresco ci è noto solo attraverso copie,
fra le quali quella di Rubens. L’immagine riproduce solamente la parte centrale
della scena, con molta probabilità l’unica realizzata da Leonardo. Raffigura
una lotta feroce di cavalieri che si contendono l’asta del gonfalone. Dato che
il gonfalone era il simbolo della città, la scelta di questo episodio valeva
come incitamento alla difesa della libertà di Firenze.
Leonardo concentra la composizione in
uno spazio ristretto, e raccoglie all’interno di questo una grande ricchezza di
ritmi dinamici, una violenta opposizione di forze che si contrastano tra loro,
distinguibili a fatica nella composizione poiché annodate tra loro. La
complessità e l’insieme dei movimenti di cavalli e soldati intensificano la
forza espressiva dell’immagine, che raggiunge una tensione drammatica e una
potenza rappresentativa che non ha precedenti.
Con quest’opera il da Vinci allarga le
possibilità espressive dell’eroico cinquecentesco, che si stacca dal legame esclusivo
che aveva con le raffigurazioni di serenità e bellezza. Questo potenziamento
drammatico del linguaggio figurativo non corrisponde però ad alcun intento di
illustrazione oggettiva del tema storico rappresentato: infatti Leonardo,
contro ogni fine narrativo e celebrativo, con il tema della battaglia vuole
mostrare la rappresentazione della ferocia, della bestialità umana che non può
essere condannata in quanto dato universale. Questa sconvolgente consapevolezza
dell’universalità di certi istinti primordiali si può notare in un disegno
preparatorio, in cui il volto di un uomo devastato dalla ferocia subisce una
paurosa metamorfosi, che lo assimila ai musi del cavallo e del leone,
smascherandone così l’aspetto animale.
Sappiamo che Leonardo avrebbe voluto
raffigurare il tema grazie ad uno straordinario brano scritto da lui stesso nel
1490. Sarebbe una sorta di manuale per quel pittore che si accingeva a
raffigurare un combattimento, in cui si insegna a dipingere il fumo e la
polvere, le pose dei cavalli e dei cavalieri, le espressioni dei vinti e dei
vincitori. Se si confrontano altre opere quattrocentesche con queste
indicazioni, è inevitabile trovarle vuote e superficiali, degli assemblaggi di
manichini privi di vita, gettati nella mischia in modo innaturale e casuale.
Ma perché l’affresco non è giunto sino
ai nostri giorni? A quanto ne sappiamo, Leonardo realizzò il cartone nella Sala del Papa del convento di Santa
Maria Novella, nel frattempo aveva già iniziato la preparazione per la pittura
a Palazzo Vecchio. Ma commise un
errore, poiché volle realizzare l’affresco basandosi sulla lettura di Plinio,
utilizzando la tecnica “a encausto”,
cioè fissata a fuoco, la stessa che permette di ammirare ancora oggi gli
affreschi romani, mantenendone quasi intatti i colori. Come sappiamo Leonardo
sperimentava sempre tecniche nuove, ma questa volta, benché fosse abituato a
correre rischi, l’esperimento non finì bene, nonostante ne avesse fatto una
prova su un quadro nella Sala del Papa che aveva dato buon esito. Applicando
infatti il procedimento al grande muro su cui doveva essere realizzata la
pittura, accendendo quindi dei fuochi alla base, la zona inferiore seccò così
come doveva, quella superiore invece, troppo distante dal calore, colò
inesorabilmente. I lavori vennero così sospesi, ma non è improbabile che
qualcosa sia comunque rimasta poiché diversi testimoni dell’epoca affermano di
aver visto l’affresco.
Nel 1557, qualsiasi cosa restasse
dell’opera leonardesca venne coperta dagli affreschi del Vasari. Ma come hanno affermato studi recenti, distaccando questa
ultima parte, potrebbe essere possibile rintracciare le parti autografe della
pittura di Leonardo. Ed è proprio quello che è successo nel 2011, quando grazie
ai radar, dopo 37 anni di studi, l’ingegner
Seracini, ha scoperto un’intercapedine tra il muro più antico e quello più
moderno (vasariano). Sono state visualizzate tracce di materiali compatibili
con una stesura pittorica, forse proprio appartenenti alla Battaglia di
Anghiari.
Purtroppo i lavori di recupero sono
stati interrotti nell’agosto 2012 dal sindaco Renzi per ragioni non del tutto
chiarite. Il mistero dell’affresco dunque continua ancora oggi.
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