STORIA, E' SUCCESSO OGGI: 455 d.C. L'ENNESIMO "SACCO DI ROMA" - Era il 2 giugno, una placida mattina di fine primavera. I cittadini di
Roma erano occupati nelle solite faccende quotidiane, sembrava un giorno come
tanti altri; mai avrebbero potuto immaginare che dal Tevere diverse
imbarcazioni con a bordo un ingente numero di Vandali risalivano la corrente, pronti a saccheggiare e distruggere
la “città eterna”.
Di “sacchi”
a Roma ce n’erano già stati due: nel 390
erano giunti i Galli, e nel 410 era stato il turno di Visigoti. Ora toccava ai Vandali. Ma
chi erano questi personaggi il cui nome oggi è sinonimo di devastatori? Secondo
ciò che dice Tacito, erano una
popolazione di stirpe germanica che, come tante altre che confinavano con
l’impero romano e non erano state assoggettate dallo stesso, tentavano
l’assalto ai confini e lo sfondamento delle frontiere romane. Col passare dei
secoli i Vandali erano giunti un po’ dappertutto, in Francia, in Spagna,
persino fino alle zone comprendenti l’antica Cartagine, ed è proprio da lì che comincia la nostra storia.
Il “casus
belli” di tutta la faccenda pare sia stato il seguente. Nel 455 l’imperatore romano d’Occidente, Valentiniano III fu assassinato in una congiura ordita da tale Petronio Massimo, il quale mirava a
prenderne il posto. Vi riuscì e decise di sposare Eudossia, moglie dell’assassinato, minacciandola di morte qualora
avesse rifiutato. A quanto sembra, la donna per sfuggire all’indesiderata
unione, ma anche per vendicare l’omicidio del marito, contattò il re dei
Vandali, Genserico, supplicandolo di
accorrere in suo aiuto. Quest’ultimo, approfittando della situazione, salpò
subito da Cartagine con una notevole flotta e si diresse alla volta di Roma.
C’è da dire che anni prima, più precisamente nel 442, Genserico aveva stipulato
con Roma un trattato di pace, ma date le circostanze, lo ritenne nullo, anche
perché il momento era più che opportuno per saccheggiare Roma, l’impero
attraversava un periodo di estrema debolezza.
Quando i Vandali giunsero a Roma, il
papa, Leone I, implorò Genserico di
non distruggere la città e non trucidare gli abitanti. Fortunatamente
l’invasore decise di essere magnanimo ed entrò dalla Porta Portuense senza fare troppi danni. Vandalo si, ma gentiluomo!
Nel frattempo Petronio Massimo, allarmato per l’arrivo di Vandali, era fuggito,
ma sfortunatamente per lui, fu intercettato dalla popolazione romana che lo
trucidò fuori dalle mura.
Dunque, almeno questo di “sacco” non fu
distruttivo, ed i Vandali onorarono l’impegno preso con il papa di non fare i
“vandali” almeno per una volta; tuttavia non se ne andarono certo a mani vuote,
infatti razziarono oro, argento e tutto ciò che c’era di valore; spogliarono
persino i templi da tutte le ricchezze, come ad esempio quello di Giove Capitolino che privarono di mezzo
tetto bronzeo. Finita la razzia, caricato il bottino sulle navi, compresa la
vedova del defunto Valentiniano III e le due figlie, così come erano arrivati
se ne andarono, via Tevere.
Una curiosità sull’accaduto è la vicenda
di alcune statue: furono prelevate da palazzi e templi e caricate tutte insieme
in una delle navi che però non arrivò mai al porto di Cartagine, si perse nel
mare. Poco importò a Genserico il quale tornava comunque a Cartagine con un
bottino niente male.
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