ARTE, IPOTESI INTERPRETATIVE DELLA TEMPESTA DI GIORGIONE - La
Tempesta
di Giorgione è stata ed è ancora
oggetto di una fervida discussione interpretativa che dura da più di un secolo,
e sembra non volersi avviare verso una conclusione. Il caso non è raro, basti
pensare ad esempio alla Primavera di
Botticelli, ma se per quanto riguarda quest’ultima un minimo di accordo
sull’identità delle figure è stato raggiunto, sulla Tempesta le posizioni sono
inconciliabili. Non vi è nemmeno accordo sulle premesse del dibattito, se cioè
l’immagine racchiuda o meno una storia o un’allegoria, o non raffiguri invece
una pura fantasia dell’artista.
La più antica descrizione del dipinto ce
la fornisce Marcantonio Michiel, un
patrizio veneziano, nel 1530, in cui descrive la Tempesta come “el paesetto in
tela cun la tempesta, cum la cingana (zingara) et soldato”. Il veneziano sopra
citato scriveva venti o venticinque anni dopo che il quadro era stato dipinto. È
possibile che già non riuscisse a riconoscere se c’era o meno un soggetto? Però
è un fatto che questi parlasse unicamente di una zingara, un soldato e della
tempesta, definendo l’opera un paesaggio.
Molti studiosi moderni, basandosi su
testo di Michiel, ritengono che la celebre tela sia soltanto un brillante
prodotto della fantasia del pittore; il quadro sarebbe un delicato idillio, uno
spettacolo di luce, di natura, di sentimenti umani, fine a se stesso. La
Tempesta sarebbe il primo dipinto, dopo la caduta dell’Impero Romano, privo di
un preciso soggetto, sacro o profano.
Altri controbattono che questa versione
dei fatti contrasterebbe con la realtà storica di un’epoca in cui non si
dipingeva un’immagine se non finalizzata a raffigurare una storia. Il problema
sarebbe semmai quello di identificare la storia scelta da Giorgione o
impostagli dai committenti.
Alla metà dell’Ottocento il quadro era
intitolato “La famiglia di Giorgione”, cioè era visto come un ritratto
dell’artista e dei suoi familiari. Il Wickhoff,
studioso viennese, fu il primo a proporre, alla fine del XIX secolo, una
lettura mitologica: Giorgione avrebbe illustrato un passo della Tebaide di Stazio, ed in particolare, il momento in cui Adrasto scopre in un
bosco Hypsipyle nell’atto di allattare Ofelte, figlio di Licurgo.
Nel 1915, Rudolf Schrey, propose una diversa interpretazione: il soggetto
sarebbe tratto dalle Metamorfosi di
Ovidio; l’uomo e la donna sono Deucalione e Pirra, i progenitori
dell’umanità scampati al diluvio universale. Nei decenni successivi altri
studiosi, insoddisfatti da queste ipotesi, proposero altre interpretazioni.
Edgar
Wind,
ad esempio, interpretò il quadro come un collage di personificazioni astratte:
l’uomo rappresenta la Fortezza, la donna la Carità che devono convivere con i
rovesci della Fortuna, ovvero il fulmine. Altri hanno interpretato l’opera come
un’allegoria dell’iniziazione alchemica, destinata ad una setta segreta
veneziana; su questa falsariga Maurizio
Calvesi ha riletto la Tempesta in un contesto alchemico, come un’allegoria
dell’unione del cielo e della terra basato su uno scritto del filosofo
neoplatonico Leone Ebreo.
Recentemente una studiosa, la De Grummond, ha ravvisato nella
Tempesta, l’episodio agiografico della vedova e del figlioletto salvati da san
Teodoro, santo protettore di Venezia. C’è da dire però che i due furono salvati
dalla minaccia di un drago, di cui nel quadro giorgionesco non c’è traccia.
Tutte le interpretazioni che via via sono state proposte hanno criticato e
smantellato le precedenti, cercando di dimostrarne l’inconsistenza.
L’ultima teoria appartiene a Salvatore Settis, esposta in un libro
apparso nel 1978, ha ravvisato come soggetto della tela Adamo ed Eva dopo la
Cacciata. Adamo contemplerebbe Eva che allatta il piccolo Caino; alle spalle
dell’uomo, le due colonne sarebbero un triste memento di morte. La città sullo
sfondo sarebbe l’Eden perduto, mentre il fulmine la metafora dell’ira divina.
Settis confronta il dipinto giorgionesco con una precedente versione dello
stesso soggetto, un rilievo, di Amadeo,
risalente al 1472, posto sulla facciata del mausoleo Colleoni a Bergamo, ravvisando una stringente somiglianza
tra le due opere. Dio, raffigurato con sembianze umane nel rilievo, sarebbe
stato dunque sostituito dal fulmine in Giorgione. Il mistero però non si
risolve perché non vi è una sola rappresentazione di questo tema in cui Adamo
sia vestito: egli è sempre nudo, come Eva, o ricoperto da un perizoma di
foglie, o al massimo rivestito sommariamente con una rozza pelliccia; non è mai
riccamente abbigliato come questo supposto Adamo dipinto da Giorgione. Secondo
Settis c’è anche un serpente che si infila in un anfratto della roccia sotto un
piede della supposta Eva, e sarebbe ovviamente il tentatore. Ebbene, questo
ipotetico serpente è stato visto esclusivamente da Settis, dato che nel dipinto
non ce n’è traccia, a meno che non scambiamo i rametti e le loro ombre al suolo
per serpenti.
Neppure l’ultima lettura della tempesta
è convincente: il mistero del soldato, della cingana e della tempesta non è
risolto. Dopo tante interpretazioni contenutistiche riprende forza il partito
di chi ritiene che la tela non abbia un soggetto. Il dibattito comunque
continua.
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