ARTE, IL MITO DI LEDA IN LEONARDO E MICHELANGELO - Nel periodo compreso tra il 1513 ed il
1515, Leonardo da Vinci, invitato da
Giuliano de’ Medici a Roma, fu
ospite di Leone X, suo fratello, in
Vaticano, dove si occupò non solo di arte ma anche di esperimenti scientifici e
studi sul corpo umano. Fu proprio Giuliano che oltre ad altre pitture, gli
commissionò la suggestiva Leda, con
il desiderio di vedervi riflessa la suggestione misteriosa delle favole
antiche, secondo ciò che era il gusto umanistico dell’epoca, curiosamente però
criticato da Leonardo che, tuttavia, accettò lo stesso di dipingere il quadro.
Sappiamo che fece diversi schizzi del
soggetto, non riuscendo a decidersi come riprodurre Leda, se inginocchiata o in
piedi; di questi disegni ci sono diverse riproduzioni illustri, tra cui una di Raffaello conservata alla Biblioteca Reale di Windsor.
Comunemente nella Leda si pensa siano da rintracciare le meditazioni dell’artista
di quegli anni: il connubio misterioso della favola antica con lo studio dei
fatti della Natura, l’immersione della bella forma classica nel torbido fervore
di vita della palude ivi rappresentata.
La palude infatti rende attuale
l’impossibile leggenda: la donna nuda abbracciata dal cigno candido si leva dal
groviglio della vegetazione come una immagine simbolica, sicuramente ispirata
alla scultura antica; Leda guarda il frutto del suo amore, due uova aperte
dalle quali sgusciano fuori due bambini che, nell’atto di compiere i primi
movimenti, ci ricordano i disegni anatomici di Leonardo riguardanti la
posizione del figlio nel grembo materno. Questi puttini, in tutto quattro,
sembrano in tutto e per tutto ispirati alle pose di quei Romolo e Remo da poco
modellati dal Pollaiolo per Sisto IV. Tanto più che, nel mito della Lupa di Roma, fatidicamente
materna verso i bimbi nati dai segreti amori di Rea Silvia, c’era qualcosa di
favoloso che Leonardo poteva trasferire nella leggenda di Leda, rendendola
quasi allegoricamente romana.
Ma nel 1515 Giuliano de’ Medici muore, e
Leonardo decide di accettare l’invito del re francese Francesco I, e parte alla volta della Francia.
Quasi quindici anni dopo che Leonardo
aveva immaginato il quadro della Leda, anche Michelangelo ne dipinse una sua, la quale ebbe grande fama, ma
purtroppo ugualmente perduta. Mentre lavorava alle tombe medicee, dipinse un
grande quadro a tempera con l’amplesso di Leda con il cigno, visibile oggi
grazie alle numerose copie, la più celebre della Galleria Nazionale di Londra.
A differenza di Leonardo, Michelangelo
interpretò il mito in senso monumentale e plastico: lungi dal risalire ad una
situazione ambientale, escluse il particolare delle uova e dei bambini nati
miracolosamente, e si rifece al momento dell’amplesso d’amore. C’è da dire che
la Leda è simile nella posa a quella statua della Notte che era stata scolpita, da Michelangelo stesso, per la tomba
di quel Giuliano che aveva desiderato che Leonardo dipingesse un quadro con
soggetto Leda. Questa Leda, sorella della Notte, è immersa in un trasogna mento
che trasforma il suo muoversi nello spazio in una cadenza di masse ondulate,
una figura immersa in un mondo sognato e irreale, lontana dalla realtà
leonardesca.
Dunque, per concludere, si può dire che
ambedue le pitture, scaturite da esigenze tipicamente umanistiche e
rinascimentali, assumono un’interpretazione individuale che va oltre il
significato di attrattiva sensuale richiesta dai committenti, per inserirsi nel
vivo di quel misterioso fluire di idee, aspirazioni, concetti, che
costituiscono il profondissimo mondo creativo di questi due grandi artisti
contemporanei.
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