ARTE, SANDRART: TEUTSCHE ACADEMIE E PITTURA DI PAESAGGIO - La produzione pittorica di Sandrart è stata spesso ingiustamente
trascurata, eppure il suo tributo nell’ambito della pittura di paesaggio non può essere ignorato, soprattutto se
inserito in quel contesto artistico così fervido degli anni 30 del 1600.
Cruciale fu la sua esperienza a Roma tra gli anni 1629 e 1635, periodo in cui
la pittura di paesaggio si impose sul mercato con dirompenti novità e grande
realismo, soprattutto grazie al diffondersi della tecnica en plein air.
Il pensiero di Sandrart in merito al
paesaggio è espresso chiaramente nelle sua Teutsche
Academie, pubblicata a Norimberga tra il 1675 e il 1679, e mostra la sua
speciale sensibilità per l’osservazione della natura, inoltre, grazie alla
presenza nell’opera di documenti figurativi, anche quanto egli fosse partecipe
di questa atmosfera espressiva. Pur rimanendo legato alla gerarchia dei generi,
il pittore dedica ampio spazio alla pittura di paesaggio in più passi del suo
testo; un intero capitolo è dedicato a quest’arte, ma anche diverse biografie
di esponenti del genere.
Al di là delle impressioni personali,
spesso prende in considerazione altre fonti; nel caso della pittura di
paesaggio, ad esempio, il riferimento è lo Schilderboek
di Karel van Mander (poeta e storico
fiammingo). Da questo poema didascalico viene ripresa l’esortazione ai giovani
pittori di uscire dall’abitato, di buon mattino, recarsi in campagna ed
osservare la natura, con tanto di descrizione mitologico-allegorica del sorgere
del giorno, rappresentato dal carro dell’Aurora, e dall’avvicendarsi delle
divinità del sole e della terra. A questo cappello retorico segue una serie di
suggerimenti, volti a proporre un modello di paesaggio secondo criteri di
armonia e decoro: lo sfondo deve essere steso con tinte chiare in modo che
riverberino nella luce, è opportuno inserire delle costruzioni ma non in numero
eccessivo, l’immagine risulta più piacevole se è inserita in particolari
condizioni climatiche, come ad esempio durante un temporale o nelle stagioni in
cui le foglie degli alberi ingialliscono … Il testo prosegue con richiami a
quei pittori che, a suo parere, si sono distinti nel genere, come Tiziano o Breughel.
Sandrart attribuisce quindi al paesaggio
una valenza decorativa, una funzione di sfondo e di scenario più che una
rispondenza poetica e di evocazione storica o letteraria; inoltre è evidente
che la sua, più che una posizione teorica è piuttosto una serie di utili
consigli pratici, in linea con l’intento pedagogico del volume. Già in questo
contesto il tedesco cita Claude Lorrain,
e fornisce preziose informazioni sulla sua pratica pittorica; inoltre, è il
primo a menzionare l’innovativa tecnica
di dipingere a olio, su tela o su carta preparata, direttamente dal
naturale, a suo giudizio preferibile rispetto all’uso più consueto dello
schizzo monocromo a carboncino. È proprio lo stesso Sandrart ad affermare di
essere stato lui a suggerire a Lorrain tale pratica, aprendogli le porte del
successo; ed in effetti potrebbe essere stato davvero così, poiché il tedesco
si trovava a Roma proprio quando, alla metà degli anni 30, crebbe
vertiginosamente il successo del pittore francese, anche se non può essere
provato che non sia accaduto esattamente il contrario.
Sandrart inoltre menziona anche un altro
importante realizzatore di paesaggi, l’olandese Hermann van Swanevelt, del quale narra che non
disegnava mai nelle accademie, ma preferiva esercitarsi nelle riproduzioni del
corpo umano riproducendo modelli viventi poiché, secondo il suo parere, era
necessario molto più lavoro per una piccola figura umana piuttosto che per
l’intero paesaggio.Importante è anche la biografia dedicata
ad Adam Elsheimer, considerato il
suo maestro ideale; la qualità che ammira di più nei suoi paesaggi è la
delicatezza poetica, l’atmosfera sognante, e le fonti di illuminazione che
rappresentano in maniera realistica e naturale i fenomeni celesti.
Sono molti i disegni di paesaggio
attribuiti a Sandrart, tutti riconducibili al periodo romano, caratterizzati da
netti contrasti di luce, tutti mostrano il fascino che dovette subire il
tedesco davanti ai sereni cieli romani incendiati dal sole, nonché dalla
presenza in ogni dove delle antiche vestigia romane. Sappiamo che, appena
giunto nella città dei papi, fu subito catturato nell’orbita di Lorrain, con il
quale non solo aveva coabitato per un periodo, ma si recava a disegnare nella
Villa Giustiniani al Popolo. Ad attrarlo maggiormente furono le rovine, di cui
eseguì diversi disegni, questo tipo di paesaggio evocativo era un ottimo
sfondo, tanto da essere molto popolare tra i paesaggisti.
Un caso di particolare interesse è il Campo Vaccino, di cui si hanno due
incisioni, considerato la base di partenza di un quadro del già citato Lorrain.
Era un soggetto particolarmente apprezzato, tanto da essere presente anche in
un dipinto di AgostinoTassi, primo
maestro di Lorrain a Roma.
Altro topos del paesaggio degli anni 30
è il Vesuvio in eruzione; il soggetto,
carico di valenze umanistiche e rievocazioni pliniane, era particolarmente
attuale perché proprio nel dicembre 1631 si era verificata una spettacolare
eruzione. Sandrart afferma di averlo disegnato nel corso del suo viaggio
nell’Italia del Sud, mentre ripercorreva le tappe caravaggesche: Napoli,
Messina, Malta.
Importante è anche la rappresentazione
degli alberi, i quali sono considerati i muscoli del paesaggio; secondo ciò che
scrive, le chiome devono sembrare attraversate dall’aria e dalla luce, ondeggianti
al vento, e non devono essere troppo tonde, né troppo piatte, né troppo aguzze.
Finito il periodo romano Sandrart, nelle
ambientazioni di quadri quali l’Educazione
di Giove, la Sacra Famiglia, o Nozze Mistiche di Santa Caterina, non
dimenticherà di continuare gli studi sul paesaggio, infatti sono diversi i
fogli con schizzi, attribuiti al tedesco, in cui sono rappresentati alberi e
boschi, ma c’è anche un interessante disegno a sanguigna del 1651, in cui è
rappresentata la Tomba di Cecilia
Metella con due figurette in primo piano, una delle quali seduta con un
libro aperto, e l’altra in piedi con un bastone.
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