ARTE, SAN VITTORE DEL LAZIO: ANTICHE CHIESE E CASTELLO - Sull’attuale centro abitato di San Vittore del Lazio si hanno notizie
dall’anno 1000 in poi, ma ricerche archeologiche recenti hanno fornito numerose
testimonianze sul fatto che nella zona vi fossero insediamenti umani risalenti
ad epoche ben più antiche. Inoltre, grazie agli studi storico-archeologici del professor
Emilio Pistilli, si è arrivati ad
identificare questo luogo con l’introvabile Aquilonia dei Sanniti, di cui parla Livio nel Libro X della sua Storia di Roma, dove si svolse una
sanguinosa battaglia tra il popolo Sannita, che ne uscì perdente, e l’esercito
romano nel 293 a. C. In questo territorio sorgono due chiese di notevole pregio
artistico, San Nicola e Santa Maria della Rosa, nonché uno storico castello.
Esaminiamoli separatamente.
La chiesa
di San Nicola si trova al di fuori dell’attuale centro abitato, e le sue
origini si fanno risalire ad una colonia di Greci giunti sul posto nel X secolo
circa, in seguito alla diffusione nel territorio della vicina abbazia di Montecassino; ciò è
testimoniato anche dal nome scelto per il luogo di culto, San Nicola. Le
origini della chiesa non sono chiare, benché le fonti storiche ne abbiano
rintracciato la presenza nei registri conservati a Montecassino intorno
all’anno 1285, è molto probabile che fosse stata eretta prima, come stanno a
testimoniare la struttura muraria nonché le pitture in essa custodite.
Originariamente la struttura presentava un’unica navata, successivamente vi
furono aggiunti altri due corpi laterali, il campanile ed il coro.
Le pitture che possiamo ancora ammirare
vanno dal secolo XI al secolo XIV, anche se sono presenti alcuni affreschi di
epoche precedenti dei quali ancora non sappiamo molto. Nella navata centrale,
sulla parete destra, si riconoscono le figure di San Luca e San Giovanni
Battista, risalenti al XIV secolo, un Cristo giudice affiancato dalla Madonna e
San Giovanni, nonché altre figure di santi, databili intorno al XIII secolo.
Una Madonna con Bambino e San Michele, danneggiati gravemente dai bombardamenti
dell’ultima guerra, furono distaccati e portati a Roma per i necessari
restauri, purtroppo ad oggi non sono ancora tornati al loro posto.
Sulla parete sinistra invece c’è un
trecentesco San Cristoforo, seguito da San Pietro e San Nicola; in alto ci sono
tre figure, due delle quali riconosciute come San Giovanni Battista e Cristo,
al di sotto si vede un papa, probabilmente San Callisto; distante da loro c’è
una Madonna che allatta in compagnia di una santa, probabilmente Santa
Margherita di Antiochia.
Nel corpo aggiunto della chiesa è
possibile ammirare le pitture più conservate, in particolare la
rappresentazione delle Sette Opere di Misericordia (dar da mangiare agli
affamati, dar da bere agli assetati, visitare gli infermi, vestire gli ignudi,
ospitare i pellegrini, visitare i carcerati, seppellire i morti), commissionate
da Nicola da Guercino, rettore della
chiesa nel XIV secolo. Sicuramente appartenenti allo stesso autore sono le
pitture che riassumono il martirio di Santa Margherita di Antiochia. Questi
affreschi hanno molte affinità con lo stile giottesco, per questo motivo non si
esclude che nel luogo sia passato un allievo di Giotto.
La chiesa
di Santa Maria della Rosa, di cui si hanno notizie già dal XIII secolo, è
costituita da tre brevi navate, e presenta il campanile insolitamente costruito
al centro della facciata d’ingresso. In questa sede si trovano il pulpito cosmatesco del 200 ed il
monumento funebre del vescovo Guglielmo
Capodiferro del 300, nonché gli splendidi portoni di bronzo dello scultore Alberto di Campli.
Il pulpito cosmatesco si trova nella
parte centrale della chiesa, leggero e sobrio, è adornato da interessanti
sculture e mosaici, e poggia su di quattro leoni che reggono le esili colonne.
Di particolare pregio è la scultura dell’eone
lettorino che sostiene il leggio del pulpito, rappresentato in maniera
completamente diversa dalla solita resa classica del nudo dell’epoca, quello
classico romano. Interessanti sono anche i mosaici con i pavoni.
Sul lato destro dell’ingresso c’è un
monumento marmoreo: rappresenta un personaggio con i vestimenti da vescovo
disteso. Sulla parete è infisso lo stemma di famiglia, cioè il capo di un
guerriero protetto da un’armatura di ferro. Su una piccola lapide postuma al
monumento c’è un’iscrizione che spiega l’identità del personaggio, e cioè Guglielmo III Capodiferro, vescovo di
Chieti a partire dal 1340. La famiglia Capodiferro, secondo i documenti
storici, era presente a San Vittore già dalla metà del 1200. Guglielmo iniziò
la sua carriera ecclesiastica come “scrittore” alla corte papale di Avignone,
nominato vescovo di diverse diocesi, cappellano del papa nel 1326, fu, a quanto
pare, anche amico e consigliere del re
di Napoli Roberto d’Angiò, morì tra il 1352 ed il 1353 mentre era vescovo
di Chieti. La tradizione orale del posto dice che la statua del vescovo fu
probabilmente traslata, non si sa quando, da un palazzo gentilizio poco
distante.
Il castello
di San Vittore ebbe una notevole importanza per la sicurezza di questi
posti, grazie alla posizione favorevole, vicina ai confini della terra di San
Benedetto, e, di conseguenza, subì diverse devastazioni. Nel 1139 subì lo
scontro tra Ruggero II e papa Innocenzo II; fu espugnato dai soldati di
Markualdo nel 1199; fu assaltato da Luigi II d’Angiò nel 1382, quando il suo
esercito prese possesso della città; venne conquistato anche da Braccio da
Montone, signore di Capua, nel 1421. Purtroppo non ebbe stabilità se non
quando, tra il 1400 ed il 1401, si affermò definitivamente il dominio spagnolo
su tutta la regione. L’ultimo travaglio del castello è databile ai bombardamenti
del 1943/44. Alcune fonti storiche tramandano che avesse ben ventitré torri,
probabilmente un’esagerazione. Attualmente se ne possono vedere solo tre.
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