martedì 30 aprile 2013

Arte, Wunderkammer: il paradiso segreto del collezionista

di Claudia Pellegrini

ARTE,WUNDERKAMMER PARADISO SEGRETO DEL COLLEZIONISTA - Sicuramente non tutti conoscono il termine Wunderkammer. Letteralmente significa “camera delle meraviglie”, e viene usato per indicare un particolare genere di collezione, affermatosi nel corso del XVI secolo, di tipo non specialistico, cioè che riunisce nello stesso luogo oggetti anche molto diversi tra loro. Al collezionista interessava infatti tutto ciò che era raro e curioso, le cosiddette mirabilia, sia che si trattasse di prodotti della natura (naturalia), sia oggetti costruiti dall’uomo (artificialia), l’importante è che fossero oggetti straordinari.
In questi luoghi era possibile imbattersi in animali con due teste, coppie di gemelli con una parte del corpo in comune, ortaggi dalle forme bizzarre o superiori alla media, barattoli di vetro con dentro parti del corpo umano o feti ed animali; spesso sul tetto della camera o anche alle pareti vi erano appesi animali essiccati, come ad esempio piccoli coccodrilli o lucertole, mammiferi ed uccelli, ma anche conchiglie rare.
Gli oggetti, affiancati uno accanto all’altro secondo criteri di catalogazione alquanto bizzarri per il nostro tempo, esprimevano il desiderio tipicamente umanista della conoscenza enciclopedica del mondo. Le collezioni erano infatti anche viste come occasioni di studio e di sperimentazione, non a caso, contenevano svariati strumenti di osservazione, nonché complicatissimi attrezzi meccanici. Ovviamente però, dato il costo ingente di tali reperti, possedere una Wunderkammer degna del suo nome, era appannaggio esclusivo di re e nobili, o comunque di ricchi intellettuali, ma anche di conventi e monasteri. Non era infrequente infatti che nelle abbazie si ospitassero non solo libri rari, ma anche piccole Wunderkammer che contenevano preferibilmente oggetti legati allo studio ed alla scienza, soprattutto in virtù del fatto che questi luoghi spesso ricevevano donazioni, eredità ed ex voto per grazia ricevuta, tanto che a volte i monaci, nel XVIII secolo, ne consentivano la fruizione al pubblico, quasi si trattasse di un museo.
Questo interesse per lo strano ed il meraviglioso non era un fenomeno nuovo, già nel Medioevo tra i tesori delle chiese, erano presenti rarità ed oggetti curiosi; ma solo a partire dal Rinascimento si cominciano a sviluppare collezioni particolari.
Il momento che unisce le due epoche è rappresentato degnamente da Jean de Berry nel castello di Mehun-sur-Yèvre. In questo posto troviamo affiancati gli oggetti più disparati: pietre preziose e perle, pezzi rari di oreficeria, reperti di vario genere come muschi, ambre, contravveleni, orologi meccanici; c’è anche un piccolo gabinetto di storia naturale, con tanto di uova di struzzo, denti di balena, mascelle di serpente.
Questo insieme di oggetti è specchio della tendenza all’universalità che diventerà la caratteristica del collezionismo più tardo. Come esempio si può citare la collezione che l’arciduca Ferdinando del Tirolo fece allestire nel castello di Ambras nella seconda metà del XVI secolo, oggi ancora parzialmente visibile nei musei. La collezione in questione era ordinata in diciotto armadi dal colore diverso, nei quali erano custoditi gli oggetti divisi a seconda del materiale e della tecnica di lavorazione: pietre dure, ferro, avorio, corallo, alabastro, bronzo, ceramica, porcellana. Uno degli armadi conteneva vasellame vario, tra cui la famosa saliera di Cellini, una splendida opera scultorea in ebano, oro e smalto, realizzata appunto da Benvenuto Cellini durante il suo soggiorno in Francia, tra il 1540 ed il 1543; nonostante le sue dimensioni ridotte, è indubbiamente un capolavoro d’oreficeria. In un altro armadio c’erano le pietre lavorate, cioè quei minerali incisi e sistemati in montature; in un altro c’erano strumenti musicali di vario genere; un altro ancora era riservato agli oggetti di meccanica: orologi, strumenti astronomici, ottici e matematici; in un altro c’erano rarità esotiche provenienti dall’Oriente.
Raccolte di questo genere, accomunate dal gusto per il curioso ed il particolare, si diffusero in ogni paese europeo. Un altro esempio può essere quella dei duchi di Baviera, costruita da Rodolfo II nel castello di Hradschin a Praga e, per non dimenticare l’Italia, quella più tarda del milanese Manfredo Settala che, prendendo spunto dalle grandi collezioni nordiche, comprendeva lavori in ambra, corallo, strumenti meccanici e curiosità naturali.
Tuttavia è necessario precisare che in Italia, la variante alla Wunderkammer è il più classico studiolo, una sorta di piccolo museo sito in genere nell’angolo più intimo ed appartato della casa o del palazzo. Questo ambiente era stato pensato originariamente come un luogo di studio, quindi corredato di libri, leggii e tutto l’occorrente per scrivere; durante il Rinascimento invece muta forma e contenuto, diventando il sito ideale per le collezioni private di scienza ed arte. Tra gli studioli italiani più famosi ricordiamo quello di Isabella d’Este, quelli di Federico da Montefeltro a Urbino e a Gubbio, quello di Francesco I de’ Medici a Palazzo Vecchio a Firenze, particolarmente significativo.
Soffermiamoci meglio su quest’ultimo; eseguito dopo il 1570 da una serie di artisti, tra cui Vasari, Borghini, Santi di Tito, i quali si adoperarono per decorare di splendide pitture lo studiolo di Francesco I, umbratile letterato, interessato all’alchimia, collezionista di gioie, medaglie, pietre intagliate, vasi e cristalli lavorati. Le decorazioni eseguite alludevano al lavoro delle manifatture granducali fondate dallo stesso Francesco, che amava partecipare direttamente alla realizzazione degli oggetti e alla sperimentazione delle nuove tecniche di lavorazione.

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